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Provvedimento del 29 ottobre 2020 [9557816]

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[doc. web n. 9557816]

Provvedimento del 29 ottobre 2020

Registro dei provvedimenti
n. 206 del 29 ottobre 2020

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte il prof. Pasquale Stanzione, presidente, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente, il dott. Agostino Ghiglia e l’avv. Guido Scorza, componenti, e il dott. Claudio Filippi, vice segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito “Codice”);

VISTO il reclamo presentato al Garante ai sensi dell’art. 77 del Regolamento, in data 4 giugno 2020 dalla sig.ra XX, rappresentata dall’avv. Giovanni Garbagnati, nei confronti di Google LLC, con cui l’interessata ha chiesto la rimozione dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nome e cognome di sette URL rinvianti ad articoli di giornali e a servizi video relativi alla notizia dell’acquisto di un’autovettura sportiva, asseritamente effettuato con i compensi che la stessa si sarebbe autoliquidata in qualità di amministratore straordinario di una società;

CONSIDERATO che la reclamante, in particolare, ha rappresentato:

di essere stata nominata nel 2016, con decreto prefettizio, alla luce della riconosciuta esperienza nel settore della gestione delle crisi di impresa, amministratore straordinario dell’azienda XX, rimasta coinvolta in un’inchiesta giudiziaria che aveva portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del suo amministratore unico e di numerose altre persone per i reati di associazione per delinquere, corruzione, e turbata libertà degli incanti; in seguito i processi penali si sono conclusi con sentenze di condanna a carico degli imputati;

di essere stata in carica, quale amministratore straordinario della XX, fino al marzo 2018, alla luce della sopravvenuta apertura della procedura concordataria, e di aver ricevuto nel dicembre 2017 i compensi determinati nell’ammontare sulla base dei parametri tabellari e in ossequio a criteri stabiliti nelle linee guida ufficiali, autorizzati con decreto prefettizio;

di aver acquistato nel gennaio 2018, - a titolo privato ed utilizzando risorse personali - un’autovettura sportiva, effettuando, dopo aver ritirato il mezzo, alcune foto indirizzate alla figlia che studiava in Inghilterra, postandole con brevi commenti positivi sull’arrivo e sulle caratteristiche dell’autovettura sul proprio profilo Facebook, che all’epoca era pubblico;

che la pubblicazione di messaggi relativi all’acquisto dell’auto è stata censurata da una trentina dei quattrocento dipendenti di XX, i quali hanno scritto una lettera aperta in cui, pur dichiarandosi “consapevoli del fatto che gli amministratori straordinari abbiano agito nel totale rispetto delle regole”, hanno criticato la “tempestività” con cui i commissari hanno provveduto al pagamento dei propri onorari e di quelli dei consulenti, nonostante la crisi di liquidità in cui versava la Società;

che tale lettera di censura è stata ripresa dagli organi di informazione, anche a livello nazionale, tant’è che gli articoli e i video in questione compaiono ancora oggi tra i primi risultati di ricerca non appena si inserisce su Google il suo nome;

che la notizia dell’acquisto dell’autovettura suddetta è priva di interesse pubblico, in quanto attiene esclusivamente alla sua sfera personale e non è in alcun modo collegata all’incarico professionale quale commissario della XX, essendo stato effettuato attingendo a risorse economiche personali e non a quelle dell’azienda di cui era amministratore straordinario;

che si tratta di articoli che danno conto non di comportamenti illeciti o di indagini giudiziarie, ma di un fatto attinente alla sfera privata e di un'altra circostanza che è pienamente legittima (la liquidazione di emolumenti, autorizzata con decreto prefettizio motivato e il cui importo risulta su pagine ufficiali delle pubbliche amministrazioni coinvolte);

che l’accessibilità, all’epoca, al profilo Facebook non altera la natura privata del fatto, né rende legittimo il recupero per via informatica della notizia e delle foto a distanza di anni allorché si digiti il nome della reclamante, originando, con una rappresentazione fuorviante, parziale, negativa, non aggiornata e priva di interesse pubblico della propria figura professionale, un pregiudizio attuale e concreto sul piano della sua immagine di professionista;

che tale pregiudizio si è verificato, ad esempio, quando una testata di Trapani, nel dare atto di una consulenza redatta dalla reclamante su incarico della Procura della Repubblica trapanese, ha riferito nel testo dell’articolo che la stessa “ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità” allorché “si è comprata una Porsche e ha avuto una ricca liquidazione mentre faceva l’amministratrice straordinaria di XX, i cui dipendenti erano in attesa di stipendio e tredicesima”;

che la reputazione sociale di un soggetto appare meritevole di tutela al punto che, per effetto del diritto all’oblio, persino comportamenti penalmente rilevanti o pregresse condanne in via definitiva, decorso un certo lasso di tempo non hanno più diritto di trovare spazio nella memoria collettiva virtuale rappresentata dagli spunti offerti dai risultati di ricerca;

che nel caso in esame vi è una evidente sproporzione tra le ragioni che all’epoca giustificavano l’attenzione della stampa nei confronti delle vicende che riguardavano l’azienda XX, e il perdurante indirizzamento a tali notizie degli utenti che digitano il nome “XX”;

PRESO ATTO che la reclamante ha precisato di aver inviato a Google, il 23 marzo 2020, una richiesta di deindicizzazione degli URL in questione, che è stata rigettata, avendo questa ritenuto prevalente l’interesse pubblico delle notizie cui essi rinviano;

VISTA la nota del 16 giugno 2020 con la quale questa Autorità ha chiesto a Google, in qualità di titolare del trattamento, di fornire riscontro alla richiesta della reclamante e di far conoscere se avesse intenzione di adeguarsi ad essa;

VISTA la nota del 6 luglio 2020 con la quale Google ha dichiarato:

- relativamente ai primi 6 URL indicati nella propria memoria di risposta, di non poter aderire alla richiesta di deindicizzazione della reclamante, in quanto essi rimandano ad articoli recenti relativi alla vita professionale della stessa: l’interessata, infatti, sarebbe stata contestata dai dipendenti dell’azienda XX, in una lettera aperta, in seguito ad una serie di condotte tra cui l’autoliquidazione di un compenso pari a circa 393 mila euro, la scelta di una rete di consulenti esterni comprensiva di alcuni parenti stretti e l’acquisto della Porsche: per tali URL, pertanto, Google ha ritenuto di dover escludere la sussistenza di un diritto all’oblio in ragione: a) dell’evidente mancanza del requisito del trascorrere del tempo, in quanto le notizie risalgono al 2018; b) della natura giornalistica dei contenuti in questione, relativi a notizie riportate in organi di stampa di rilevanza nazionale; c) del ruolo pubblico della reclamante, per effetto della professione svolta di dottore commercialista;

relativamente al seguente URL https://..., di avere in corso di adozione misure manuali finalizzate ad impedire il posizionamento della relativa pagina in corrispondenza del nominativo dell'interessata, non avendo individuato  quest’ultimo all’interno del loro contenuto;

VISTA la nota del 16 luglio 2020, con la quale la reclamante, in replica alle argomentazioni fornite da Google, oltre a ribadire e precisare le ragioni del reclamo – ed in particolare che non si è trattato di una autoliquidazione pari a 393 mila euro, bensì di emolumenti il cui ammontare è stato determinato sulla base di parametri tabellari – ha fatto presente che il prefetto è intervenuto al fine di chiarire la regolarità dei compensi a lei spettante e che risulta “fuorviante” il riferimento alla presunta “rete di consulenti esterni che comprendeva anche un paio di parenti stretti”, in quanto l’unico “parente stretto” della reclamante è il proprio fratello, anch’egli dottore commercialista, che collaborava con lo studio “Viganò, Brambilla & Associati”, cui gli Amministratori straordinari si erano rivolti in base alle specifiche competenze possedute; inoltre, al fine di assicurare la massima trasparenza, l’incarico conferito a detto studio e la presenza del fratello della reclamante all’interno di esso erano stati portati a conoscenza (“disclosure”) dell’Autorità prefettizia, la quale non ha avuto nulla da osservare, e del C.d.A. della parte non commissariata di XX;

VISTA la nota del 1° ottobre 2020 con la quale la reclamante, in risposta ad una richiesta di chiarimenti da parte di questa Autorità inviata in data 23 settembre 2020, ha dichiarato che i compensi percepiti alla data di pubblicazione dell’articolo sono stati complessivamente pari a  310.337,53 euro, liquidati dal Prefetto di Milano (in data 18.12.2017) e dal Prefetto di Monza e della Brianza (in data 8.11.2017), e pertanto non vi è stata alcuna “autoliquidazione” di quasi 400.000 euro, contrariamente a quanto assumono alcuni articoli cui rinviano i risultati di ricerca oggetto di reclamo;

CONSIDERATO che:

- nei confronti di Google LLC trova applicazione, per effetto delle attività svolte in ambito europeo attraverso le proprie sedi, il principio di stabilimento e che pertanto i relativi trattamenti sono soggetti alle disposizioni del Regolamento in virtù di quanto previsto dall’art. 3, par. 1;

- il trattamento di dati personali connesso all’utilizzo del motore di ricerca di Google risulta tuttavia direttamente gestito, anche per il territorio UE, da Google LLC, avente sede negli Stati Uniti;

-  tale circostanza è idonea a fondare, ai sensi dell’art. 55, par. 1, la competenza del Garante italiano a decidere i reclami ad esso proposti con riferimento al proprio territorio nazionale;

CONSIDERATO che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante”;

PRESO ATTO, con riguardo al seguente URL https://..., di quanto affermato dal titolare del trattamento nella nota del 6 luglio 2020 in ordine alla sua intervenuta deindicizzazione e ritenuto, pertanto, che relativamente ad esso non sussistano i presupposti per l'adozione di provvedimenti da parte dell'Autorità;

CONSIDERATO, in merito all’istanza di rimozione degli ulteriori URL indicati nella  memoria di risposta di Google dal n. 1 a n. 6, che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per ritenere legittimamente invocabile il diritto all’oblio, occorre tenere conto dei criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (Causa C-131/12);

CONSIDERATI, in particolare, i criteri relativi all’esattezza, alla pertinenza e alla non eccedenza dei dati reperibili (di cui ai punti n. 4 e n. 5 delle suddette “Linee Guida”), il criterio dell’aggiornamento/attualità della notizia (di cui al successivo punto n. 7) e, più specificamente, di quanto indicato al punto n. 8, laddove si sottolinea l’esigenza di tenere in particolar conto, ai fini della valutazione delle richieste di deindicizzazione, quelle informazioni che originino “un impatto sproporzionatamente negativo sull’interessato se il risultato della ricerca riguarda una condotta impropria di minima rilevanza o significato che non è più (o non è mai stata) oggetto di dibattito pubblico, e se non vi è alcun interesse pubblico più generale alla disponibilità di tale informazione”;

RILEVATO, con riguardo a detti URL, che:

- le notizie tramite essi raggiungibili - pur a suo tempo rilevanti in considerazione della peculiare situazione in cui versava l’azienda della quale la reclamante era amministratore straordinario – appaiono ora suscettibili di originare su di essa un impatto sproporzionatamente negativo, trattandosi di informazioni in parte inesatte (l’ammontare degli emolumenti percepiti) e non più attuali;

- il post in questione, pur diffuso su Facebook, era indirizzato alla figlia della reclamante, con ciò evidenziando l’intenzione – magari sulla base di una erronea valutazione – di una destinazione del messaggio più circoscritta;

- non è emerso alcun profilo di illiceità nella vicenda, né, più in generale, nell’incarico svolto dalla reclamante;

RITENUTO di dover pertanto considerare il reclamo fondato in ordine alla richiesta di rimozione degli URL indicati nella memoria di risposta di Google con i numeri da n. 1 a n. 6 e di dover, per l’effetto, ingiungere a Google LLC, ai sensi dell’art. 58, par. 2, lett. c) e g), del Regolamento, di rimuovere gli stessi quale risultato di ricerca reperibile in associazione al nominativo dell’interessato, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento;

RITENUTO che ricorrano i presupposti per procedere all’annotazione nel registro interno dell’Autorità di cui all’art. 57, par. 1, lett. u), del Regolamento, relativamente alle misure adottate nel caso di specie nei confronti di Google LLC in conformità all'art. 58, par. 2, del Regolamento medesimo;

RILEVATO, tuttavia, che la misura adottata nel caso in esame nei confronti della predetta società discende da una valutazione effettuata dall’Autorità sulla base delle specificità del singolo caso e che, pertanto, l’iscrizione di essa nel registro interno sopra citato non potrà essere ritenuta, in eventuali futuri procedimenti incardinati nei confronti del medesimo titolare del trattamento, quale precedente pertinente ai fini previsti dall’art. 83, par. 2) lett. c), del Regolamento;

RILEVATO che, in caso di inosservanza di quanto disposto dal Garante, può trovare applicazione la sanzione amministrativa di cui all’art. 83, par. 5, lett. e), del Regolamento;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal vice segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE l’avv. Guido Scorza;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

ai sensi dell’art. 57, par. 1, lett. f) del Regolamento, per le ragioni di cui in premessa:

a) con riguardo all’Url https://..., prende atto di quanto affermato dal titolare del trattamento, e, pertanto, non ritiene, nel caso di specie, che ricorrano gli estremi per l’adozione di ulteriori provvedimenti;

b) con riguardo agli URL indicati nella memoria di risposta del titolare con i numeri da n. 1 a n. 6, dichiara il reclamo fondato e, per l’effetto, ai sensi dell'art. 58, par. 2, lett. c) e g), del Regolamento, ingiunge a Google LLC di rimuovere gli stessi quale risultato di ricerca reperibile in associazione al nominativo dell'interessata, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lgs. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 29 ottobre 2020 

IL PRESIDENTE
Stanzione

IL RELATORE
Scorza

IL VICE SEGRETARIO GENERALE
Mattei