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Provvedimento del 28 febbraio 2019 [9103108]

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[doc. web n. 9103108]

Provvedimento del 28 febbraio 2019

Registro dei provvedimenti
n. 50 del 28 febbraio 2019

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, della prof.ssa Licia Califano, componente e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito “Codice”);

VISTO il reclamo presentato al Garante ai sensi dell’art. 77 del Regolamento, in data 29 novembre 2018, dal sig. XX, rappresentato e difeso dall’avv. Maurizio Savioli, nei confronti di Google LLC, con cui l’interessato ha chiesto la rimozione dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nome e cognome, relativamente a 73 URL ivi indicati (dei quali 67 tratti dal sito www.dagospia.com), in quanto rinvianti ad articoli relativi ad una vicenda giudiziaria che si è conclusa in primo grado con la condanna alla pena di un anno e due mesi di reclusione (sospesa per la condizionale e con la conseguente non menzione nel certificato del casellario giudiziale);

CONSIDERATO che il reclamante ha, in particolare, rappresentato:

di aver lavorato nell’ambito diplomatico fino al febbraio 2014, quando ha rassegnato le proprie dimissioni dal Ministero degli Affari Esteri per dedicarsi a tempo pieno alla gestione della Fondazione XX, da lui istituita nel luglio 2000 e della quale è Presidente, sottolineando che si tratta di una Fondazione molto attiva sul piano nazionale e internazionale che organizza molteplici eventi nei settori storico-politico, economico, della musica e dell’arte, tra i quali il “Premio XX”;

di essere stato condannato dal Tribunale di Roma, con sentenza del 17 luglio 2018, ad un anno e due mesi di reclusione con sospensione della pena e non menzione nel certificato del casellario giudiziale, e di aver comunque tempestivamente impugnato tale decisione;

che la notizia della condanna si è diffusa, nei giorni immediatamente successivi, attraverso numerosi siti Internet ed indicizzata dai motori di ricerca, con divulgazione di contenuti espliciti relativi a fatti e atti endoprocessuali, nonché  con riferimento – spesso in toni derisori – al suo ruolo istituzionale, così provocando un danno di immagine alla Fondazione da lui presieduta;

di aver diritto alla deindicizzazione degli URL contestati in quanto le notizie relative al procedimento penale sarebbero state pubblicate in aperto contrasto con lo spirito con cui il Tribunale di Roma ha concesso i benefici della sospensione della pena  e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale;

di aver inviato a Google LLC, in data 26 luglio 2018, una richiesta di deindicizzazione avente ad oggetto, tra gli altri, gli URL poi contestati con il reclamo, ricevendone un riscontro negativo in ragione del fatto che essi riguarderebbero informazioni recenti e di sostanziale interesse pubblico relative ad un procedimento penale ancora in corso, nel quale il ricorrente è stato condannato per reati gravi (art. 609 bis c.p.);

VISTA la nota del 23 ottobre 2018 con la quale questa Autorità ha chiesto a Google LLC di fornire riscontro alle richieste del reclamante e di far conoscere se avesse intenzione di adeguarsi alle richieste stesse;

VISTA la nota del 29 novembre 2018 con la quale Google LLC, rappresentata e difesa dagli avv.ti Marco Berliri, Massimiliano Masnada ed Alberto Bellan, ha dichiarato che:

in via preliminare, il reclamo dovrebbe essere dichiarato inammissibile, poiché proposto dalla Fondazione XX che, in quanto persona giuridica, non riceve tutela dalla normativa in materia di protezione dei dati personali;

gli URL indicati nel reclamo con i numeri 10 e 12 non hanno alcuna relazione con i fatti relativi al procedimento penale cui il ricorrente fa riferimento, né con la sentenza di condanna, dal momento che essi riproducono il contenuto di una interrogazione a risposta scritta presentata da un deputato relativa a taluni maltrattamenti ai danni di dipendenti del consolato italiano in Germania, ed essi non potrebbero essere deindicizzati in quanto ospitati sul sito istituzionale della Camera dei deputati;

gli URL indicati nel reclamo con i numeri 4 e 5 sono anch’essi privi di relazione con il procedimento penale prima richiamato, in quanto rimandano ad un articolo relativo a delle molestie che il sig. XX avrebbe posto in essere ai danni di una celebre esponente politica francese per cui essi non potrebbero essere deindicizzati in considerazione del ruolo svolto dall’interessato nella vita pubblica, nell’ambito del quale il reclamante ha incontrato la nota politica francese;

per tutti i restanti URL non possono essere ritenuti sussistenti i presupposti per accogliere l’istanza di deindicizzazione, in ragione:

della mancanza del requisito del trascorrere del tempo, in quanto i contenuti cui indirizzano gli URL contestati risalgono a luglio 2018 e riportano informazioni riguardanti un procedimento penale ancora in corso, nel quale il reclamante è stato condannato in primo grado per violenze sessuali nei confronti di un aspirante dipendente della Fondazione da lui presieduta;

del ruolo pubblico del reclamante, prima quale diplomatico e ora Presidente di una Fondazione che opera a livello internazionale, tale da giustificare l'interesse del pubblico ad avere il massimo accesso alle notizie riguardanti i diversi comportamenti professionali impropri attribuiti al reclamante;

della irrilevanza del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale ai fini della richiesta deindicizzazione, visto che tale beneficio “non deriva dalla scarsa pericolosità sociale del reato perpetrato”, ma è concesso in via automatica in tutte le circostanze in cui viene applicata la sospensione condizionale della pena, e “non può certamente comportare la deindicizzazione di tutte le notizie relative a gravi reati poste in essere da un personaggio pubblico”;

delle diverse caratteristiche e finalità proprie, da un lato, della sospensione della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale e, dall’altro, della deindicizzazione in nome del diritto all’oblio: i primi istituti sono infatti volti a produrre un effetto deterrente che dovrebbe spingere il soggetto a non commettere ulteriori violazioni della legge penale anche solo per evitare l’applicazione della pena sospesa e la menzione, consentendo inoltre, nel caso della non menzione, lo svolgimento di “una serie di concorsi pubblici nei quali viene richiesto il certificato del casellario giudiziale, senza in alcun modo svolgere una funzione censoria nei confronti di ulteriori contenuti”; il diritto all’oblio, invece, consente di chiedere “la deindicizzazione di contenuti obsoleti, riguardanti personaggi non pubblici, o comunque privi di interesse pubblico”;

della natura dinamica e non definitiva della non menzione del casellario giudiziale, che si scontrerebbe con il carattere potenzialmente definitivo della deindicizzazione;

delle precedenti occasioni in cui il  Garante ha ritenuto inconferente la non menzione del casellario giudiziale ai fini dell’accoglimento delle domande di deindicizzazione di notizie recenti attinenti a reati gravi: cfr. provvedimento del 16 giugno 2016 (doc. web n. 5440944);

RILEVATO preliminarmente che il reclamo risulta correttamente proposto dall’interessato, in quanto, pur facendo questi riferimento al danno di immagine della Fondazione da lui presieduta, lamenta anzitutto un interesse proprio, sostenendo  che le notizie relative al procedimento penale sarebbero state pubblicate in contrasto con lo spirito della sospensione della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale;

RILEVATO, inoltre, che:

a) il trattamento effettuato da Google LLC, nella circostanza incide in modo sostanziale sugli interessati unicamente nel territorio italiano (art. 56, par. 2, del Regolamento);

b) in applicazione dell'art. 55, par. 1, del medesimo Regolamento, può ritenersi sussistente la competenza in capo al Garante del potere di trattare i reclami proposti nei confronti della società resistente in quanto stabilita all'interno del territorio italiano tramite Google Italy, secondo i principi fissati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (causa C-131/12);

RILEVATO, inoltre, sempre in via preliminare, che gli URL indicati nell’atto introduttivo con i numeri 4, 5, 10 e 12, essendo relativi a vicende diverse da quella oggetto del reclamo, non possono essere presi in considerazione nel presente procedimento e, pertanto, il reclamo deve essere dichiarato infondato in relazione ai predetti URL;

CONSIDERATO, con riguardo agli ulteriori URL indicati dal reclamante, che la richiesta di loro rimozione dal motore di ricerca deve essere ritenuta fondata, in ragione del rilievo – assorbente ogni altro profilo – relativo all’impatto negativo che l’indiscriminata reperibilità in rete dei suddetti articoli, mediante l’azione del motore di ricerca, avrebbe sull’interessato, in misura del tutto sproporzionata rispetto all’interesse collettivo all’agevole accesso alla notizia (cfr. punto 8 delle Linee Guida sull’attuazione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso C-131/12 “Google Spain e inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González”, WP 225, adottate dal Gruppo art. 29 il 26 novembre 2014).

La permanente indicizzazione di tali articoli, infatti, vanifica del tutto gli effetti dei benefici concessi in sentenza e, in particolare, di quello della non menzione della condanna (a pena peraltro sospesa), come del resto già chiarito da questa Autorità (cfr., in particolare, provv. del 21 marzo 2018, n. 171, doc. web n. 8990411).

Tale beneficio è, infatti, volto a “eliminare il regime di pubblicità della sentenza”, per favorire il “processo di recupero morale e sociale” del reo e per ciò peraltro indisponibile (cfr., rispettivamente, Cass., sez. IV, 16.6.16, n. 31217 e sez. VI, 18.11.16, n. 48948, nonché, sulla funzionalità dell’istituto rispetto al finalismo rieducativo di cui all’art. 27, comma terzo, Cost., Corte cost., sent. n. 231 del 2018).

In presenza di una valutazione giurisdizionale volta a riconoscere all’imputato il beneficio della non menzione della condanna- sulla base della considerazione non solo “della gravità del danno arrecato”, ma anche della “idoneità del beneficio a concorrere al recupero del reo” (Cass., IV, cit.) - la permanente indicizzazione di notizie inerenti la sua condanna priverebbe la pena irrogata della sua funzione di risocializzazione. I diritti dell’interessato - per quel che qui rileva il diritto alla protezione dei dati personali - ne sarebbero pregiudicati in misura ingiustificata e sproporzionata, tale permanente indicizzazione configurando pertanto un trattamento non conforme ai principi di cui all’art. 5 del Regolamento, con conseguente riconoscimento del diritto di cui all’art. 17, par. 1, lett. d) del Regolamento stesso.

RILEVATO che a tali conclusioni non osta, del resto, il carattere non definitivo della sentenza: profilo, questo, non rilevante in presenza della descritta incompatibilità, con il beneficio concesso al reclamante- in funzione del suo reinserimento sociale e l’indiscriminata reperibilità, in rete- della notizia della condanna mediante motore di ricerca;

CONSIDERATO che non risulta neppure ostativo, in tal senso, il non ampio lasso di tempo trascorso dalla pronuncia della sentenza, dal momento che il diritto al “ridimensionamento della visibilità mediatica” (Trib. Milano, sez. I civ., sent. 5.9.2018, n. 7846) si fonda, nel caso di specie, sul pregiudizio arrecato al reclamante- il quale non riveste peraltro più un ruolo pubblico significativo-dalla permanente indicizzazione degli articoli, in misura sproporzionata (e pertanto ingiustificata), rispetto all’interesse della collettività all’agevole reperimento della notizia in rete;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE il dott. Antonello Soro;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

ai sensi dell’art. 57, par. 1, lett. f) del Regolamento

a) dichiara inammissibile la richiesta di rimozione degli Url indicati ai nn. 4, 5, 10 e 12;

b) dichiara il reclamo parzialmente fondato con riguardo agli ulteriori Url ivi indicati, e, per l’effetto, ai sensi degli artt. 58, par. 2, lett. c) e g) del Regolamento,  ingiunge a Google LLC di rimuovere, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento, gli URL medesimi quali risultati, anche delle versioni europee, di una ricerca effettuata in associazione al cognome dell’interessato. Il Garante, ai sensi dell’arti. 157 del Codice, invita Google LLC a comunicare, entro trenta giorni dalla data di ricezione del presente provvedimento, quali iniziative siano state intraprese al fine di dare attuazione a quanto ivi prescritto, Si ricorda che il mancato riscontro alla richiesta di cui sopra è punito con la sanzione amministrativa di cui agli artt. 166 del Codice e 83, par.5, lett.e) del Regolamento.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lg. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 28 febbraio 2019

IL PRESIDENTE
Soro

IL RELATORE
Soro

IL SEGRETARIO GENERALE
Busia