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Il Garante Antonello Soro tra privacy, social media e politica: "In gioco c'è la libertà"

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Il Garante Antonello Soro tra privacy, social media e politica: "In gioco c'è la libertà"
Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Andrea Iannuzzi, "La Repubblica", 22 maggio 2019)

"In occasione di un data breach (un'intrusione informatica con violazione di dati personali) subito da una banca, ci siamo accorti che un numero elevatissimo di clienti aveva come password 123456. C'è ancora un livello di superficialità, sia da parte dei gestori di banche dati che degli utenti. Ma dobbiamo capire che la protezione dei dati è una questione di libertà, in gioco c'è un diritto fondamentale che non può essere sacrificato in nome della sicurezza o degli interessi economici".

Antonello Soro scuote la testa e allarga le braccia mentre racconta l'aneddoto, seduto nel suo ufficio di piazza Venezia a Roma, la sede dove il Garante della privacy ha da poco traslocato. Negli ultimi 7 anni, Soro ha dedicato la sua vita professionale alla tutela dei dati degli italiani. Tra un mese il mandato del collegio da lui presieduto scade e il Parlamento nominerà altri quattro esperti per raccoglierne il testimone, lungo il percorso inaugurato dal "pioniere" Stefano Rodotà. Ma da quando la "privacy" era un foglio di carta da firmare per poter aprire il conto corrente, lo scenario è cambiato in maniera così profonda che 7 anni sembrano un secolo. Oggi intorno ai dati digitali che consentono di profilare miliardi di persone connesse in rete tra di loro, ruotano gli interessi dell'economia, della politica, della società. E le insidie si moltiplicano, come dimostra la cronaca quotidiana.

Presidente Soro, i nemici della privacy usano metodi sempre più sofisticati nella guerra sul fronte della cybersicurezza. L'ultimo caso riguarda WhatsApp, infettata da un software spia in grado di entrare nei telefoni degli utenti. Come ci si difende?"

"La sicurezza cibernetica è un problema di sicurezza nazionale, se dovesse scoppiare una guerra la minaccia non arriverebbe dai carri armati ma dagli attacchi ai sistemi digitali, dalle torri di controllo agli acquedotti. E poi ci sono le banche dati, private e pubbliche. Non si può pensare di proteggere solo il perimetro esterno, il dato va protetto fin da quando viene caricato nel database. E' comunque una sfida in divenire. Serve un'educazione digitale, fin da bambini. Una delle nostre prime iniziative è stata proporre al ministro dell'istruzione l'educazione civica alla società digitale all'interno della formazione scolastica. Insegniamo ai nostri figli ad attraversare la strada, stiamo in ansia quando vanno in discoteca, ma non ci preoccupiamo dei pericoli che devono affrontare quando gli diamo lo smartphone".

Non possiamo permettere che Facebook sia giudice di sé stesso, servono regole condivise. Dal suo osservatorio, le sembra che sia aumentata la consapevolezza sul valore dei dati? I cittadini capiscono che intorno alla proprietà dei dati si gioca una partita delicatissima?

"Il livello di consapevolezza è cresciuto, anche grazie a vicende come il Datagate di Snowden o Cambridge Analytica, ma è ancora primitivo. Bisogna far capire anche alla politica che il dato da una parte rappresenta un valore economico straordinario; ma dall'altra è un oggetto di diritto fondamentale, la proiezione della nostra persona nella dimensione digitale. Si tende a considerare la privacy come residuale, anteponendole altre esigenze come la sicurezza, il controllo: telecamere, impronte, dati biometrici dei lavoratori. In gioco c'è il diritto alla libertà, che non si può monetizzare. Proteggere i dati significa libertà di non essere assoggettati a un'opera di profilazione prima e poi di indirizzamento occulto nelle scelte che facciamo".

Lei ha citato Cambridge Analytica, ma anche in Italia assistiamo a tentativi di influenzare l'opinione pubblica e gli elettori con campagne poco trasparenti e uso spregiudicxato della profilazione. Come ci si protegge?

"Ci sono diverse frecce teoriche da usare. Per esempio l'Unione Europea ha previsto che le violazioni in campagna elettorale saranno sanzionate togliendo i contributi ai futuri gruppi parlamentari europei. Io penso che ci voglia una collaborazione fra diritto e tecnologia. Preoccupa l'utilizzo di reti automatiche, i cosiddetti bot, per veicolare la propaganda, perché è difficile per l'utente capire se un messaggio arriva da un account reale o da un attore robotizzato che può essere russo, cinese o italiano. La tecnologia potrebbe aiutare a riconoscere e segnalare i messaggi automatizzati".

A proposito, Facebook in Italia ha appena chiuso decine di pagine che interagivano con milioni di utenti, anche per fare propaganda politica a favore di Lega e 5 Stelle, in quanto violavano le regole del social network. Che segnale è?

"È il sintomo di quanto siamo in ritardo nell'affrontare il problema della democrazia digitale. I gestori delle grandi piattaforme si sono dati le regole da soli e ne pretendono il rispetto, ma sono loro gli unici giudici e questo non va bene. Certo, i provider vanno responsabilizzati, ma il bilanciamento tra diritti fondamentali spetta all'autorità pubblica".

Il Gdpr, regolamento europeo per la protezione dei dati, va in questa direzione?

"È emblematico che Zuckerberg in quest'ultimo anno abbia ribaltato il suo punto di vista, da "la privacy è morta" a "il futuro è la privacy". Ciò avviene perché il diritto europeo si fa strada nel mondo. Il Gdpr è diventato un paradigma per oltre 100 paesi in tutti i continenti. Ora la vera sfida da affrontare riguarda la Cina, con la quale, a differenza degli Stati Uniti, siamo all'anno zero in materia di regolamentazione e reciprocità".

In Italia, il Garante non ha fatto sconti alla pubblica amministrazione e neppure alla politica. Si notano miglioramenti?

"Sì, ce ne sono stati. Un esempio su tutti: l'Agenzia delle entrate, con la quale abbiamo portato a termine un percorso che oggi, dopo l'ultimo parere sull'anagrafe dei conti correnti, ci consente di mettere in sicurezza il contrasto all'evasione fiscale senza violare i diritti di tutti i cittadini che evasori non sono. Adesso anche le amministrazioni pubbliche dovranno adeguarsi al Gdpr. Sappiamo che non tutte sono a posto, ma dopo il rodaggio sta partendo un piano di ispezioni, a cominciare dalle grandi banche dati pubbliche e private".

La democrazia digitale è un'utopia? Com'è andata a finire con Rousseau, la piattaforma di voto dei 5 Stelle?

"La democrazia diretta e digitale è figlia di una cultura antica, io stesso mi ero appassionato al tema da parlamentare, che merita di essere approfondito. Se però parliamo di piattaforme private, ciascuno è libero di usarle ma deve rispettare le regole generali. L'Associazione Rousseau ha pagato la sanzione che gli era stata comminata, riconoscendo la fondatezza dei rilievi visto che non vi è stata impugnazione. Non voglio fare altre polemiche".

Che ne pensa del concorso Vinci Salvini, con il quale il ministro raccoglie i dati dei suoi fan sui social media? Consiglierebbe la partecipazione, al di là delle sue idee politiche?

"In quella che Rodotà chiamava la la più grande agorà mai esistita bisognerebbe comportarsi con la stessa responsabilità con cui lo si fa in una piazza fisica. Ma non è così. Gli algoritmi selezionano i contenuti non solo per aggregare intorno agli amici ma contro i nemici. La spinta all'intolleranza è uno degli aspetti peggiori della società digitale, il linguaggio della rete è molto brutto. Un politico dovrebbe dare l'esempio: sono i bravi cittadini a saper scegliere i bravi politici".

Un consiglio per il suo successore?

"Non ne do mai, posso solo sperare che chi viene dopo di noi abbia la stessa passione che abbiamo avuto noi. Ma servono gli strumenti per fare gli sceriffi di una società digitale così complessa, non lo si può fare con le risorse e le strutture che hanno oggi le autorità come la nostra. Tra le grandi sfide del nostro tempo, insieme all'ambiente, alle migrazioni, alla dinamica demografica, c'è la protezione dei dati: un diritto universale".