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Presentazione del Report “La Televisione del Dolore” - Intervento di Licia Califano, 24 marzo 2015

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Consiglio nazionale dell´Ordine dei giornalisti
Osservatorio di Pavia Media Research
Roma, 24 marzo 2015

Presentazione del Report "La Televisione del Dolore"

Prof.ssa Licia Califano
Componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali

Quando si discute di informazione (soprattutto delle sue forme e modalità e della sua rappresentazione in TV) parliamo anche, ovviamente, della qualità del dibattito pubblico e, indirettamente, della qualità della democrazia. Non può sfuggire, infatti, quanto il sistema mediatico (nella misura in cui abitua il pubblico alla rissa, non rispetta il privato, mostra immagini orribili senza alcuna intrinseca necessità o diretta funzionalità alla completezza della notizia) rifletta la società ma, al tempo stesso, ne alimenti i tratti della sua intrinseca democraticità incompiuta. Ogni mezzo di comunicazione, insomma, influisce sui modi di pensare e sui comportamenti collettivi e chi opera nei media deve assumersi di ciò la piena consapevolezza e responsabilità.

Per altro verso, non c´è dubbio che i termini di un confronto pubblico trasparente attraversano, in particolare, il tema dell´educazione all´ascolto e al dissenso; in ciò si esprime il pluralismo della società che, a sua volta, ci porta al concetto di democrazia e ci conduce anche al tema – che qui vogliamo approfondire – del rispetto della privacy.

Si tratta, infatti, di coniugare la libertà di espressione, e le sue molteplici declinazioni – diritto di informare, diritto ad essere informati, diritto di accedere alle informazioni – con altre esigenze strettamente connesse alla protezione e promozione della dignità della persona umana, ascrivibili all´art. 2 della nostra Carta costituzionale. E il diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali rappresenta ormai stabilmente un diritto della personalità e un limite legittimo alla libertà di espressione (nella forma del diritto di informare).

Della tutela della persona dalla diffusione di notizie di stampa lesive della dignità se ne fa ampiamente carico l´ordinamento. Non mancano certo le "carte" che riguardano diritti e doveri dei giornalisti in riferimento a settori in cui aumenta l´esposizione di soggetti deboli: ad esempio, pensiamo a una delle più note, la Carta di Treviso per una cultura dell´infanzia (1990), ma anche al Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti (carta di Roma, 2008), o al Protocollo deontologico per i giornalisti che trattano notizie concernenti carceri, detenuti o ex detenuti (Carta di Milano, 2013), o, ancora, al Codice in materia di rappresentazione delle vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive (2009).

Vorrei però soffermare l´attenzione sullo strumento deontologico alla cui stesura anche il Garante ha contribuito in maniera determinante: si tratta del Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell´esercizio dell´attività giornalistica.

Benché la sua origine sia piuttosto risalente (1999), tale codice deontologico contiene alcune importanti norme volte a disciplinare il legittimo esercizio dell´attività giornalistica all´interno di un quadro di garanzie per i soggetti che si trovano al centro dell´informazione – infatti, ricordiamo che il presupposto per il trattamento dei dati personali di tali soggetti risiede nell´esonero dall´obbligo del consenso previsto dal cd. Codice privacy (art. 137).

Per elencare solo alcune delle cautele che devono essere tenute in ferma considerazione da parte di chi esercita l´attività giornalistica – nel senso ampio stabilito dall´art. 136 del Codice privacy (e ricordato pure nel Report: p. 101), includendo perciò anche chi diffonda occasionalmente informazioni avvalendosi delle enormi potenzialità consentite dalla Rete Internet –, il codice deontologico, dopo una più generale espressione del principio del bilanciamento (art. 1), cita:

• il diritto alla riservatezza del minore come bene primario insuperabile, neanche per l´esercizio della funzione informativa (art. 7);

• il divieto generale (salva specifica rilevanza sociale della notizia) per il giornalista di pubblicare immagini o foto lesive della dignità dei soggetti coinvolti in fatti di cronaca, tanto più quando tali immagini riproducono dettagli di violenza (art. 8);

• il rispetto per le diversità (art. 9), per i malati (art. 10) e per l´intimità delle abitudini sessuali (art. 11);

• l´obbligo per il giornalista di escludere dalla notizia i congiunti e tutti coloro siano estranei ai fatti di cronaca (art. 5);

• la previsione di una tutela forte, come quella prevista costituzionalmente per la privata dimora, anche per gli "ospiti" di luoghi di cura, detenzione o riabilitazione, che sono soggetti deboli per antonomasia (art. 3).

La lettura di questo Report, con tutta evidenza, ci mostra però una realtà ben diversa da quella che le norme imporrebbero.

Infatti, questo studio ci offre un dettagliato spaccato su un certo modo di fare informazione che, alla spasmodica ricerca del sensazionalismo e di un´emotività collettiva "usa e getta", è in grado di calpestare la dignità di persone comuni – ad esempio, i parenti delle vittime, o quelli che l´opinione pubblica condanna nonostante per tutti dovrebbe valere la presunzione di innocenza – che non hanno gli strumenti per fronteggiare il clamore mediatico.

Vorrei aggiungere alcune considerazioni critiche, sollecitate dalla lettura del Report e dettate dall´esperienza maturata in questi anni dall´Autorità di protezione dei dati personali:

• Che ne è della particolare cautela volta a impedire, o quantomeno a circoscrivere sensibilmente le immagini cariche di violenza, tutte le volte in cui un programma televisivo mostra video di maltrattamenti ripresi da telecamere di sorveglianza fornite dalle forze dell´ordine (calci, pugni, percosse ai danni di anziani in case di riposo o alunni in scuole d´infanzia, tentati stupri o preparativi per compierne, risse fuori da scuola etc. etc), immagini di persone in lutto, che offrono alle telecamere il volto del proprio tormento, il pianto straziante per la perdita di un parente, amico, conoscente (p. 103 del Report)?

• È veramente essenziale ai fini della funzione informativa, e quindi conforme al principio europeo di necessità, indugiare su una mole di dettagli superflui aggiunti alla narrazione, dichiarazioni non rilevanti e opinabili di compaesani delle vittime, personaggi dello spettacolo, presunti esperti, ricostruzioni minuziose della scena del crimine, riempitivi di contorno sui luoghi della tragedia, incursioni nel privato dei protagonisti, nella loro vita sessuale, accesi dibattiti televisivi, atteggiamenti sessisti, pregiudizi e luoghi comuni, moralismi inessenziali e anche qualche battuta infelice, visto il contesto narrativo, di conduttori o inviati (p. 104 del Report)?

• Per non parlare di un certo modo di rappresentare la cronaca giudiziaria, dove l´urgenza di riprendere volti di protagonisti, scrutarne la quotidianità dietro le tende di casa, strappare un commento, produce il rischio tangibile di invadere la riservatezza altrui e danneggiarne la reputazione. Mail personali fra vittime e indagati sono recitate da voci fuori campo, sms privati della vittima mostrati e discussi in studio, parenti e potenziali indagati rincorsi ossessivamente da inviati, non senza episodi di aggressività, giudizi sommari e rabbia incoraggiati in studio contro presunti colpevoli (p. 106 del Report): mi chiedo, siamo ancora all´interno del fondamentale criterio di essenzialità dell´informazione o lo abbiamo già ampiamente superato?

Come noto, il Garante viene spesso sollecitato a intervenire per bloccare la diffusione di dati personali tutte le volte che l´attività giornalistica esonda dai limiti che la legge e il codice di autoregolamentazione hanno fissato. E le decisioni dell´Autorità non sono mai frutto di un´aprioristica presa di posizione di carattere "censorio", bensì nascono da un attento bilanciamento condotto caso per caso, poiché, al di sotto dei criteri generali più volte enunciati, ogni episodio può presentare specifici margini di peculiarità.

Per rimanere all´attività di quest´ultimo periodo, vi segnalo, per fare alcuni esempi:

• la perdurante e ferma attenzione al rispetto della riservatezza dei minori, soggetti indifesi per definizione, la cui crescita e il cui sviluppo non possono venire compromessi da un´incontrollata esposizione alla morbosità sociale. Lo abbiamo detto l´anno scorso con riferimento alla vicenda delle ragazze coinvolte nel giro di prostituzione romano (provvedimento del 14 luglio 2014, reperibile su www.garanteprivacy.it, doc. web n. 3267450), ma anche al caso della diffusione sul web del video della bimba gravemente malata ad opera del "Movimento Pro Stamina Italia" (provvedimento del 18 gennaio 2014, doc. web n. 2923201);

• il riconoscimento di una particolare condizione di debolezza in cui versano le vittime di reati, poiché la pubblicità dei riferimenti identificativi causa loro non solo sgradevoli invasioni della privacy o continue immersioni nella sofferenza, ma, molto spesso, veri e propri pericoli all´incolumità e alla sicurezza personale (cfr. Relazione annuale 2013, p. 88);

• il prolungato spettacolo del dolore denunciato e combattuto dall´Autorità tutte le volte che si rinvengono online immagini fotografiche o video di persone suicide o comunque decedute, del tutto ingiustificate sul piano dell´essenzialità dell´informazione a fronte della legittima aspettativa di riserbo e di rispetto del dolore da parte dei familiari (cfr. Relazione annuale 2013, p. 89);

• la diffusione delle generalità di persone malate che, nonostante la loro comprensibile opera di denuncia di episodi di malasanità, non vedono minimamente tutelata la propria riservatezza, con la conseguenza che racconti giornalistici molto dettagliati possono consentire a comunità anche piccole di risalire all´identità dell´interessato, e quindi anche a conoscere la patologia di cui questo è affetto (cfr. Relazione annuale 2013, pp. 89-90);

• il ricorso ad un parametro di riservatezza più rigoroso nel momento in cui il Garante accoglie richieste di deindicizzazione di notizie dai motori di ricerca generalisti – come Google, a seguito della nota pronuncia della Corte di giustizia europea (causa C-131/12, Google Spain SL, Google Inc. c. Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja González) – fondate sul legittimo interesse a non diffondere dati identificativi associati a personali abitudini sessuali (provv. del 22 dicembre 2014, doc. web n. 3623978).

Non posso, infine, non spendere due parole sulla mancata riforma del codice deontologico.

Come abbiamo detto, le regole ci sono ma, come abbiamo compreso anche da questo dettagliato Report, in alcune situazioni non sono sufficienti. Per questo, appena un anno e mezzo fa, il Garante aveva avviato un ragionamento con il Consiglio nazionale dell´Ordine dei giornalisti per aggiornare il codice deontologico: revisione che, nelle intenzioni dell´Autorità, si rendeva – e, a mio avviso, si rende tuttora – necessaria alla luce sia delle innovazioni tecnologiche intervenute in questi ultimi anni (l´esplosione delle tecnologie dell´informazione), sia dell´esperienza maturata nel corso del tempo.

In questo quadro, il Garante ha provato a suggerire alcune modifiche al codice deontologico del giornalismo, nella direzione di elevare i livelli di tutela degli interessati – che, con il web 2.0, entrano in Rete (e quindi all´attenzione di chiunque) con una facilità pari solo alla difficoltà con cui riescono ad obnubilarsi – pur mantenendo la libertà di espressione al centro della vita democratica della nostra società.

Alcuni di questi aggiornamenti proposti andavano proprio nel senso di riportare la "TV del dolore" all´interno di parametri più rispettosi della dignità umana. Ad esempio:

• abbiamo voluto ancorare la possibilità di fornire informazioni attinenti lo stato di salute o la vita sessuale ad uno scrutinio di stretta indispensabilità in relazione alla rilevanza sociale della notizia, così da evitare forme deprecabili di esposizione della sfera più intima delle persone coinvolte dalla cronaca;

• abbiamo sottolineato come le cautele vigenti sulla diffusione delle immagini debba interessare anche le persone decedute, anche per propria volontà, così da rispettare appieno il giusto sentimento di pietà nei confronti di familiari e amici;

• abbiamo provato a disciplinare in maniera più completa il delicato settore della cronaca giudiziaria;

- ribadendo il principio costituzionale della presunzione di innocenza, così da tutelare chi, per effetto delle costruzioni mediatiche, viene additato come "mostro", senza che sia stato un regolare processo a stabilirlo (peraltro, lo stesso Report denuncia questo fenomeno: pp. 105-106);

- proteggendo l´identità di coloro che a vario titolo partecipano ad un procedimento penale, in qualità di testimoni o persone a conoscenza dei fatti, così da impedire l´accanimento mediatico su persone che spesso sono loro malgrado coinvolte in terribili vicende giudiziarie – e, in alcuni casi, per tutelarne la stessa vita e incolumità fisica;

- proteggendo, a maggior ragione, coloro che in questi episodi neanche sono coinvolti, così da spegnere riflettori in grado di compromettere la vita privata e familiare di chi nulla ha a che spartire con i fatti oggetto di cronaca;

- proteggendo ancora di più le vittime dei reati, così da interrompere il circuito della sofferenza che già queste persone devono affrontare per il solo fatto di aver subito un torto, e soprattutto dal preservarle da non implausibili ritorsioni;

- limitando il fenomeno della divulgazione di atti processuali coperti dal segreto, a partire dalle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, così da bloccare comportamenti non solo illeciti ma pregni di un´invasività inaccettabile rispetto alla libertà e segretezza delle comunicazioni interpersonali che la Costituzione in primis garantisce.

In conclusione posso solo auspicare che un´importante occasione come la presentazione di questo prezioso Report (curato dal Consiglio nazionale dell´Ordine dei giornalisti e dall´Osservatorio di Pavia Media Research) possa rappresentare la base per riprendere una proficua discussione. E credo che ciò sia nell´interesse non solo di tutti noi, in quanto potenziali obiettivi delle attenzioni (e intrusioni) mediatiche, ma anche e soprattutto al fine di plasmare un buon giornalismo, di qualità, che serva ad una crescita reale della nostra società.