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Provvedimento del 5 giugno 2019 [9123570]

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[doc. web n. 9123570]

Provvedimento del 5 giugno 2019

Registro dei provvedimenti
n. 125 del 5 giugno 2019

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, della prof.ssa Licia Califano e della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito “Codice”);

VISTO il reclamo presentato ai sensi dell’art. 77 del Regolamento al Garante in data 27 settembre 2018 dal sig. XX, rappresentato e difeso dall’avv. XX, nei confronti di Google LLC, con cui l’interessato ha chiesto la rimozione dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nome e cognome degli URL ivi indicati, in quanto rinvianti ad articoli relativi ad una vicenda giudiziaria nella quale il medesimo non sarebbe mai stato ad alcun titolo coinvolto;

CONSIDERATO che il reclamante ha, in particolare:

rappresentato di essere un commerciante di origini cinesi che da anni esercita la propria attività nel territorio di Roma;

fatto presente che, a partire dal 2012, il giudice inquirente della Repubblica di San Marino ha instaurato un procedimento penale nei confronti di numerosi istituti finanziari sammarinesi e dei loro amministratori, per reati finanziari relativi al riciclaggio di denaro (c.d. “caso XX” o “conto XX”), procedimento nel quale il suo nome è emerso, in quanto citato in alcune intercettazioni telefoniche illegittimamente diffuse, con riferimento a un ipotizzato riciclaggio di denaro proveniente dai proventi della contraffazione, dell’immigrazione clandestina e dello sfruttamento degli immigrati;

evidenziato che alcuni articoli di stampa, nel dare conto del suddetto procedimento penale, hanno descritto il reclamante come “un esponente della mafia cinese”;

argomentato che le condotte attribuitegli da detti articoli giornalistici sarebbero prive di fondamento, poiché egli non sarebbe stato coinvolto in alcun procedimento penale, e comunque, relativamente al c.d. “caso XX”, sarebbe intervenuto un decreto di archiviazione nel 2017;

sostenuto di poter invocare il diritto all’oblio rispetto agli URL contestati sulla base di quanto previsto dall’art. 17 del Regolamento e dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea C-131/12 del 13 maggio 2014, in quanto questi condurrebbero ad informazioni da considerarsi al contempo false (data la sua estraneità ad ogni procedimento penale), e prive di interesse pubblico (in quanto egli non ricoprirebbe un ruolo pubblico);

ricordato di aver inviato a Google una richiesta di deindicizzazione avente ad og-getto, tra gli altri, gli URL poi contestati con il reclamo, che non è stata accolta perché questi riguarderebbero informazioni relative alla vita professionale del reclamante e di sostanziale interesse pubblico;

VISTA la nota del 23 ottobre 2018 con la quale questa Autorità ha chiesto a Google di fornire riscontro alle richieste del reclamante e di far conoscere se vi fosse l’intenzione di adeguarsi ad esse;

VISTA la nota del 7 novembre 2018 con la quale Google, rappresentata e difesa dagli avv.ti XX, XX ed XX, ha dichiarato che:

per gli URL indicati nella propria memoria di risposta con i numeri 1, 2 e 3 andrebbe dichiarato il non luogo a provvedere in quanto non vengono restituiti dal motore di ricerca a fronte di ricerche con il nominativo del reclamante;

per i restanti URL non sussisterebbero i presupposti per poter accogliere l’istanza di deindicizzazione, in ragione:

di una sentenza di condanna del 14 giugno 2018 n. 55/2018, non citata nel reclamo, nella quale sono confluiti numerosi procedimenti penali svoltisi presso il Tribunale della Repubblica di San Marino e conosciuti come “processi Conto XX”, considerato che in tale sentenza si fa esplicito riferimento alle attività illegali poste in essere dal reclamante, sconfessando pertanto le affermazioni di questi secondo cui il procedimento penale c.d. “conto XX” si sarebbe concluso con un decreto di archiviazione;

della mancanza del requisito del trascorrere del tempo, in quanto i contenuti cui indirizzano gli URL contestati risalgono tutti a un periodo compreso tra il 2014 e il 2017 e riportano informazioni riguardanti un procedimento penale, al (parziale) esito del quale l’istituto finanziario e i suoi amministratori sono stati condannati per reati finanziari, tra i quali il riciclaggio di “ingenti somme di denaro provento dei reati commessi dal reclamante”;

del ruolo pubblico del reclamante, quale commerciante, tale da giustificare l’interesse del pubblico ad avere il massimo accesso alle notizie riguardanti il procedimento penale in questione;

della natura giornalistica dei contenuti in questione, riportati in organi di stampa di rilevanza nazionale;

VISTA la nota del 5 aprile 2019, rimasta priva di riscontro, con la quale l’Autorità ha chiesto al reclamante di fornire eventuali controdeduzioni alla sopra citata nota di Google;

CONSIDERATO, preliminarmente, che:

- come comunicato da Google alle Autorità di controllo europee, il trattamento di dati personali connesso all’utilizzo del suo motore di ricerca da parte degli utenti risulta di-rettamente gestito, anche per il territorio UE, da Google LLC, avente sede negli Stati Uniti;

- la competenza del Garante a trattare i reclami proposti nei confronti della società resistente risulta pertanto fondata sull’applicazione dell’art. 55, par. 1, del Regolamento, in quanto la società risulta stabilita all'interno del territorio italiano tramite Google Italy, secondo i principi fissati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (causa C-131/12);

PRESO ATTO che gli URL indicati con i numeri 1, 2 e 3 come riferito da Google, non sono effettivamente visibili in associazione al nominativo del reclamante, e, pertanto, questa Autorità non ritiene, nel caso di specie, che ci siano gli estremi per l’adozione di ulteriori provvedimenti;

PRESO ATTO che in corrispondenza degli URL n. 9, 11, 14 è stato inserito il testo integrale di una dichiarazione di rettifica da parte dell’avvocato del reclamante;

RITENUTO, con riguardo alla richiesta di rimozione dei restanti URL – che, alla luce dei criteri espressamente individuati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 13 maggio 2014 sopra citata e successivamente, ulteriormente delineati dal Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali, attraverso le “Linee Guida”, WP 225, adottate il 26 novembre 2014 – la stessa non possa essere accolta;

RITENUTO, infatti, che nel caso in esame il diritto all’oblio non possa essere utilmente invocato sussistendo l’interesse pubblico alla conoscenza delle vicende in questione, considerato che:

- nei confronti del reclamante risulta un’iscrizione di notizia di reato a carico, come si evince dalla relativa citazione nell’ambito della sentenza di condanna prodotta dalla resistente (n. 55/2018, pur emessa nei confronti di soggetti diversi dal reclamante);

- per quanto possa evincersi dagli atti, il procedimento conseguente all’iscrizione della suddetta notizia di reato non risulta, allo stato, archiviato, con la conseguente persistenza dell’interesse pubblico della notizia;

- gli URL contestati risalgono tutti a un periodo compreso tra il 2014 e il 2017;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE il dott. Antonello Soro;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

ai sensi dell’art. 57, par. 1, lett. f) del Regolamento:

a) prende atto, con riguardo agli URL indicati con i numeri 1, 2 e 3, che gli stessi non sono visibili in associazione al nominativo del reclamante, e, pertanto, ritiene che non vi siano, nel caso di specie, gli estremi per l’adozione di ulteriori provvedimenti;

b) dichiara il reclamo infondato con riguardo agli URL indicati con i numeri da 4 a 14 per le ragioni di cui in premessa, pur dando atto che in corrispondenza degli URL n. 9, 11, 14 è stato inserito il testo integrale di una dichiarazione di rettifica da parte dell’avvocato del reclamante.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lg. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 5 giugno 2019

IL PRESIDENTE
Soro

IL RELATORE
Soro

IL SEGRETARIO GENERALE
Busia