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Provvedimento del 15 aprile 2004 [1097458]

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[doc. web. n. 1097458]

Provvedimento del 15 aprile 2004

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

Nella riunione odierna, in presenza del prof. Stefano Rodotà, presidente, del prof. Giuseppe Santaniello, vice presidente, del prof. Gaetano Rasi e del dott. Mauro Paissan, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;

Esaminato il ricorso presentato da XY, rappresentata e difesa dall´avv. Mario Giannotta presso il cui studio ha eletto domicilio

nei confronti di

Telecom Italia S.p.A., rappresentata e difesa dall´avv. Elisabetta Busuito presso il cui studio ha eletto domicilio;

Visti gli articoli 7, 8 e 145 s. del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196);

Viste le osservazioni dell´Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell´art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

Relatore il dott. Mauro Paissan;

PREMESSO:

L´interessata afferma di non aver ricevuto idoneo riscontro ad un´istanza avanzata ai sensi dell´art. 13 della legge n. 675/1996 (ora, artt. 7 e 8 del d.lg. n. 196/2003, in vigore dal 1° gennaio 2004), con la quale aveva chiesto di accedere ai dati che la riguardano con riferimento al traffico telefonico "in entrata" ricevuto, tra le ore 8.30 e le ore 12.00 del giorno 29 ottobre 2003, all´utenza telefonica fissa di cui è intestataria. La richiesta, avanzata dal legale dell´interessata (al quale era stata preventivamente rilasciata procura speciale in relazione ad investigazioni difensive ai sensi della legge n. 397/2000), era motivata dalla necessità di svolgere un´indagine relativa ad un presunto illecito penale verificatosi per mezzo di una telefonata di disturbo ricevuta dal marito dell´interessata (deceduto pochi giorni dopo l´episodio).

Avendo ricevuto una nota di riscontro da parte della resistente con la quale la stessa rifiutava di comunicare i dati richiesti, rilevando nel caso di specie l´assenza di un "concreto ed effettivo pregiudizio" derivante allo svolgimento delle investigazioni difensive dalla mancata acquisizione dei tabulati richiesti (requisito già previsto in termini generali dall´art. 14, comma 1, lett. e-bis), della legge n. 675/1996 -ed ora meglio specificato dall´art. 8, comma 2, lett. f), del Codice- per la comunicazione dei dati relativi alle comunicazioni telefoniche "in entrata"), la ricorrente ha ribadito la propria istanza di accesso con ricorso ai sensi degli artt. 145 s. del medesimo Codice. In particolare, la ricorrente ha rilevato che, "dal momento che il reato è stato perpetrato mediante l´uso della comunicazione telefonica e non tramite scritti o oralmente, quel dato rappresenta la prova" dello stesso e costituisce dunque "l´unico strumento attraverso cui il (…) legale può procedere nelle investigazioni necessarie ad individuare e, nel caso, denunciare all´Autorità giudiziaria l´autore della (…) citata telefonata". La ricorrente ha chiesto inoltre di porre a carico della controparte le spese sostenute per il procedimento.

All´invito ad aderire formulato da questa Autorità il 22 gennaio 2004 ai sensi dell´art. 149 del Codice, Telecom Italia S.p.A. ha risposto con note inviate via fax in data 19 e 25 febbraio 2004 con le quali ha confermato il proprio diniego alla comunicazione dei dati in questione, sostenendo che la ricorrente non avrebbe fornito "prova alcuna della configurabilità, anche solo astratta, di un illecito penale", essendosi limitata a far riferimento ad una telefonata di disturbo pervenuta al proprio marito. A parere della resistente, non risulterebbe quindi provato l´effettivo e concreto pregiudizio che potrebbe derivare alla prosecuzione delle indagini difensive dalla mancata acquisizione dei dati richiesti, presupposto indispensabile per la comunicazione dei dati relativi alle chiamate telefoniche in entrata.

La ricorrente, con nota inviata via fax il 19 febbraio 2004, ha contestato il riscontro ottenuto, sostenendo che la normativa posta in materia di diritto di accesso alle chiamate "in entrata" non fa alcun esplicito riferimento "alla necessità di indicare l´ipotesi di reato per cui si procede ad indagine difensiva".

Al fine di acquisire ulteriori elementi di valutazione questa Autorità, in data 8 marzo 2004, ha prorogato di quaranta giorni, ai sensi dell´art. 149, comma 7, del Codice, i termini per la decisione sul ricorso.

Con ulteriore nota inviata via fax il 25 marzo 2004, la ricorrente, con riferimento all´astratta configurabilità del reato, ha precisato che la telefonata in questione avrebbe avuto un contenuto gravemente lesivo del proprio onore e della propria reputazione (con essa infatti "una donna -(…) sconosciuta- affermava che la sig.ra XY, profittando della malattia del coniuge, si sarebbe fraudolentemente appropriata di somme di denaro depositate in un conto di titolarità di quest´ultimo") e che telefonate "di identico contenuto denigratorio" sarebbero pervenute, nei giorni precedenti, ad amici di famiglia. A parere della ricorrente, si è trattato dunque di "telefonata di disturbo gravissimo (…) visto il contenuto della comunicazione e le condizioni di salute di chi l´ha ricevuta (…)" e "di comportamento di rilevanza penale (…) integrante, unitamente alle due telefonate ricevute" da soggetti terzi, "quantomeno un reato di diffamazione".

CIÒ PREMESSO IL GARANTE OSSERVA:

Il ricorso verte sull´esercizio del diritto di accesso a dati personali relativi al traffico telefonico "in entrata" riferiti ad una utenza telefonica fissa.

In ordine alla richiesta di conoscere i dati personali relativi alle chiamate telefoniche "in entrata", l´art. 8, comma 2, lett. f) del Codice esclude l´esercizio dei diritti di cui all´art. 7 del medesimo decreto (già art. 13, comma 1, lett. c) e d) della medesima legge) se i trattamenti di dati personali sono effettuati "da fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, relativamente a comunicazioni telefoniche in entrata, salvo che possa derivarne un pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397".

Tale disposizione traccia un bilanciamento tra il diritto dell´interessato ad accedere ai dati che lo riguardano e il diritto alla riservatezza di terzi (utenti chiamanti e soggetti chiamati), circoscrivendo il diritto di accesso esercitabile direttamente dal chiamato alle sole comunicazioni "in entrata" di cui sia necessaria la conoscenza in quanto, altrimenti, ne deriverebbe un pregiudizio per lo svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge n. 397/2000, pregiudizio che deve essere effettivo e che va comprovato concretamente caso per caso. Ciò anche in relazione alla vigente disciplina relativa all´identificazione della linea chiamante e delle chiamate di disturbo (artt. 6 e 7 d.lg. n. 171/1998, ora artt. 125 e 127 del Codice).

Nel caso di specie, il presupposto indicato nel citato art. 8, che assume un ruolo centrale nell´esame delle singole fattispecie, risulta presente.

In proposito, per quanto l´interessata non abbia inizialmente proposto una dettagliata descrizione dello svolgimento dei fatti, in virtù di quanto comunque già affermato dalla stessa con l´istanza ex art. 13 della legge n. 675/1996, riaffermato nel ricorso ex art. 145 e s. del Codice ed ulteriormente precisato nel corso del procedimento (con dichiarazioni della cui veridicità l´autore risponde anche ai sensi dell´art. 168 del Codice: "Falsità nelle dichiarazioni e notificazioni al Garante"), risulta che, al di là della specifica telefonata "di disturbo" ricevuta dal marito dell´interessata, telefonate di analogo tenore sarebbero state inviate anche ad amici di famiglia.

In relazione a tali chiamate va anzitutto rilevata l´impossibilità concreta per la ricorrente di avvalersi della norma di cui all´art. 127 del Codice relativa alle telefonate di disturbo, essendo quest´ultima volta a consentire, qualora l´abbonato continui a ricevere tale genere di chiamate, l´identificazione della linea chiamante e la conservazione dei dati relativi alla provenienza della chiamata ricevuta. Nel caso di specie, una sola telefonata era già stata ricevuta e la ricorrente non era nelle condizioni che le avrebbero consentito di avvalersi di tale facoltà. L´acquisizione del dato relativo alla chiamata "in entrata" ricevuta appare quindi elemento rilevante ai fini dell´accertamento dell´ipotizzato reato ed essenziale ai fini della valutazione sull´opportunità di instaurare un procedimento penale nei confronti del soggetto al quale potrebbe essere eventualmente attribuito l´illecito.

Proprio al fine di ricercare ed individuare tali elementi di prova, la ricorrente ha dato mandato al proprio difensore per porre in essere le relative investigazioni difensive ai sensi della legge n. 397/2003. Tale attività investigativa può essere svolta infatti, ai sensi dell´art. 391-nonies c.p.p., anche dal difensore che ha ricevuto dalla persona offesa dal reato apposito mandato per "l´eventualità che si instauri un procedimento penale", recante anche l´indicazione dei fatti ai quali il mandato stesso si riferisce.

La richiesta formulata dal difensore della ricorrente è dunque legittima e la mancata comunicazione del dato relativo alla chiamata ricevuta da parte della società resistente costituirebbe pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento delle indagini difensive avviate, privando la ricorrente (che è anche legittimata a formulare la richiesta essendo intestataria dell´utenza telefonica in questione) del solo elemento che potrebbe consentire di verificare l´esistenza di una condotta diffamatoria di cui la stessa sarebbe vittima e di individuare il soggetto ritenuto responsabile del relativo illecito.

Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve quindi essere accolto e la resistente dovrà aderire alle richieste dell´interessata entro e non oltre il 20 giugno 2004, comunicando alla stessa i dati richiesti e dando contestualmente comunicazione dell´avvenuto adempimento a questa Autorità.

Per quanto concerne le spese, alla luce della novità della specifica sequenza con la quale è risultato accertato il diritto della ricorrente, sussistono giusti motivi per compensarle integralmente tra le parti ai sensi dell´art. 150, comma 3, del d.lg. 196/2003.

PER QUESTI MOTIVI IL GARANTE:

a) accoglie il ricorso e ordina alla resistente di comunicare all´interessata i dati richiesti nei termini di cui in motivazione;

b) dichiara compensate le spese fra le parti.

Roma, 15 aprile 2004

IL PRESIDENTE
Rodotà

IL RELATORE
Paissan

IL SEGRETARIO GENERALE
Buttarelli

Scheda

Doc-Web
1097458
Data
15/04/04

Tipologie

Decisione su ricorso