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Scorza: “Ecco le tante storie della privacy violata in Italia: un diritto cruciale per la vita di tutti“

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Scorza: “Ecco le tante storie della privacy violata in Italia: un diritto cruciale per la vita di tutti"
Intervento di Guido Scorza, Componente del Garante per la protezione dei dati personali
(Agenda Digitale, 5 luglio 2021)

“Mi dispiace, non posso occuparmi dei suoi denti, leggo qui che lei è sieropositivo”.

Ha risposto così un dentista a un suo paziente dopo avergli chiesto di compilare un questionario. E’ la storia che rimbalza da un reclamo che il paziente in questione ha presentato al Garante.

Le tante storie della privacy italiana

“Vedo qui che non si è ancora vaccinata. Come mai? Ormai il Lazio ha aperto da tempo ai vaccini per le persone della sua età”.

È la domanda della receptionist di un hotel blasonato a una cliente romana, affetta da una patologia incompatibile con la vaccinazione, alla quale era stato chiesto di inviare via mail la copia integrale del green pass alla struttura alberghiera prima del check-in.

È una delle tante segnalazioni arrivate via social alla mia attenzione.

“Non hanno preso mio figlio nella squadra di pallavolo della scuola perché pare che pur non avendo neppure dodici anni, pubblichi su Tik Tok video che hanno suggerito alla preside della scuola che fosse gay e questo avrebbe potuto creare problemi con gli altri compagni”.

Me lo ho scritto una mamma via mail.

“Mio padre è stato fermato in aeroporto perché il sistema di riconoscimento facciale della polizia lo ha identificato come un potenziale terrorista e sta chiarendo la sua posizione. Non avete idea quanto sia stato imbarazzante vederlo fermare al varco”.

Non è ancora mai successo in Italia ma avrebbe potuto accadere presto.

“Mio marito è in carcere, ha sbagliato una volta della vita. Capita. Fino a prima della pandemia lo andavo a trovare, ci guardavamo negli occhi, gli raccontavo di come crescono i nostri figli, di quanto mi manca, di quello che provo. Con la pandemia le visite sono state sostituite da video conferenze su Zoom. La polizia penitenziaria assiste alla nostra conversazione, sente quello che ci diciamo come se fossimo seduti a uno stesso tavolo tra amici, guarda dentro casa mia.”

Una storia vera, purtroppo. Un caso non isolato che ha reso ancora più dura la vita di migliaia di persone durante la pandemia che ha segnalato al Garante per la protezione dei dati personali il Garante per le persone private della libertà.

“Mi ero appena separato da mia moglie, era la vigilia di Natale, un Natale amaro, tra pandemia e solitudine. Una ragazza mi ha contattato su Facebook. Un messaggio, poi un altro. Mi ha detto che era sola anche lei. Poi una foto. Un mio complimento. Una sua provocazione. Poi la richiesta di spogliarmi per lei e, quindi, quella di fare sesso online. Non l’avevo mai fatto ma ho ceduto. Abbiamo chiuso e cinque minuti dopo mi ha scritto: mandami mille euro su Paypal o il tuo video finisce su Facebook, a portata di click dei tuoi figli, i tuoi genitori, i tuoi amici. Che posso fare? Sono disperato”.

È una delle tante segnalazioni, analoghe le une alle altre, arrivate al Garante nell’ambito del nuovo progetto pilota di contrasto al revenge porn.

“Tre amici – o almeno tre compagni di scuola che pensavo fossero amici di mio figlio – l’altro giorno, all’uscita da scuola hanno iniziato a prenderlo in giro perché gli si erano strappati i jeans che in effetti gli andavano un po’ stretti perché ultimamente è ingrassato, uno di loro ha fatto un video e l’ha pubblicato su Facebook taggando l’intera classe. Lui ci è rimasto male, si è chiuso in stanza e ogni volta che vede il video scoppia in lacrime. Temo possa fare fesserie. Che posso fare?”

Ha scritto così all’ufficio del Garante per il contrasto al cyerbulismo una mamma comprensibilmente preoccupata per suo figlio.

“Siamo una famiglia povera ma onesta e abbiamo una casa piccola e modesta, non certo da rivista patinata. Durante la pandemia nostro figlio ha fatto lezione a distanza in cucina, l’unica stanza disponibile e ogni volta che accendeva la cam per rispondere a una domanda qualcuno rideva del colore delle piastrelle sul muro, delle tende o dei pensili. E nel pomeriggio le risate e gli sfottò proseguivano nella chat di classe. Ma non si può fare niente? È tutto normale così?”

Ero arrivato al Garante da qualche settimana quando una signora conosciuta tempo fa mi ha mandato questo messaggio.

Perché bisogna affrontare i mille rivoli della privacy negata

Sono queste – e, naturalmente, tante di più – le vicende che nel quotidiano, normalmente lontano dall’attenzione e dal clamore dei media, transitano per gli uffici del Garante per la protezione dei dati personali, questioni legate a doppio filo alla vita delle persone, dei più piccoli, dei giovani, degli adulti e degli anziani, spesso, soprattutto, dei più vulnerabili.

Sono questioni che la più parte di noi fa persino fatica a immaginare.

Eppure appartengono al quotidiano di milioni di persone.

E dalla loro soluzione dipende quanto si sentiranno uguali agli altri cittadini, quanto si sentiranno libere, quanto sentiranno di vivere in un Paese democratico per davvero o, più semplicemente, quanto saranno sereni, felici, tranquilli. Quanto potranno vivere una vita simile – anche se non uguale – a quella di chi con queste questioni non si è mai trovato e, magari, mai si troverà a fare i conti.

Sono questioni dalle quali dipende spesso, per dirla con le parole del Maestro, quelle di Stefano Rodotà, il diritto ad avere diritti di milioni di persone in Italia, centinaia di milioni, forse miliardi in tutti il mondo.

E sono le questioni che normalmente nelle discussioni accademiche, politiche, mediatiche attorno alle cose della privacy restano nell’ombra ma, al tempo stesso, sono forse tra i problemi più preziosi, importanti, concreti, terreni che la disciplina sulla privacy vorrebbe le persone non si trovassero a vivere e davanti ai quali offre strumenti di tutela.

Sono arrivato al Garante per la privacy da meno di un anno eppure, tra decine di altre, a tutte queste questioni mi è già capitato di provare a dare una risposta, cercare una soluzione, garantire a chi ce l’ha chiesta tutela e, talvolta, provare a intervenire dalla parte dei più deboli e dei più vulnerabili senza che nessuno ce lo chiedesse.

Qualche settimana fa abbiamo condannato quel dentista che aveva rifiutato le cure al suo paziente sieropositivo, preso posizione forte prima e collaborato poi nei confronti del Governo per fare in modo che i green pass fossero un’opportunità di ritorno alla normalità senza sacrificare la privacy dei cittadini più del necessario ordinato a Tik Tok di bloccare i trattamenti degli utenti dei quali non fosse in grado di sincerarsi dell’età per evitare che uno strumento tanto potente sia utilizzato da un ragazzino impreparato a gestirne le conseguenze abbiamo bloccato l’implementazione del SARI real time, il sistema di riconoscimento facciale con il quale il Ministero dell’Interno avrebbe voluto, pur in assenza di una adeguata base giuridica, lanciare in Italia un sistema di sorveglianza di massa intelligente.

E, ancora, con il Garante per le persone private della libertà abbiamo sollecitato i direttori delle carceri a garantire la riservatezza anche nei colloqui a distanza tra detenute, detenuti e loro familiari e abbiamo lanciato, in collaborazione con Facebook, un progetto pilota attraverso il quale garantiamo – o proviamo a garantire – alle vittime di revenge porn una tutela preventiva, impedendo ai loro aguzzini la diffusione non al pubblico non autorizzata dei contenuti a sfondo sessuale che li hanno per protagonisti.

Ma siamo anche intervenuti – lo hanno fatto gli uffici usando la moral suasion e l’autorevolezza conquistata in oltre vent’anni di lavoro più che l’autorità che pure la legge sul cyberbullismo ci attribuisce – per dare una risposta immediata a tante mamme preoccupate che il video sbagliato approdato sui social potesse indurre il figlio a fare sciocchezze drammatiche e irreparabili.

Difendere l’indipendenza del Garante privacy

Poi, naturalmente, in televisione e sui giornali, la legge sulla privacy e il Garante, ci finiscono – e ci sono finiti di frequente ultimamente – perché qualcuno suggerisce che siano di ostacolo alla realizzazione di questo o quel progetto, alla gestione, in un certo modo, della pandemia o alla lotta all’evasione.

Senza, peraltro, nella più parte dei casi, che sia vero.

Perché, normalmente, è vero, più semplicemente, che la disciplina europea impone di perseguire lo stesso obiettivo avendo più cura di rispettare anche il diritto alla privacy dei più.

E basterebbe davvero poco per implementare il progetto che si vuole implementare senza travolgere la privacy di nessuno.

Ma va di moda puntare l’indice contro la legge sulla privacy e contro il Garante, tacciarli di ostacolare il progresso, l’azione dell’amministrazione, la ripartenza del Paese e chi più ne ha più ne metta.

E in alcuni casi – è successo spesso di recente – per questa via, si finisce con il chiedere di rivedere le regole della privacy, spesso ignorando o fingendo di ignorare, che, con poche eccezioni, sono di matrice europea e non possono comunque essere riviste a livello nazionale.

Per carità guai a sottrarsi alla discussione, legittima come ogni altra discussione ma, forse, la prossima volta, prima di puntare l’indice contro la privacy proviamo a pensare che è difficile per davvero immaginare – e sarà sempre più difficile negli anni che verranno nei quali convivremo con agglomerati di dati personali sempre più grandi in mano a soggetti pubblici e privati e con gli algoritmi – un diritto più vicino alle persone, più centrale nella nostra esistenza di uomini, cittadini e consumatori, più prezioso nella dimensione economica e democratica, semplicemente, più presente nel nostro quotidiano.

Ecco, senza scomodare – come pure si potrebbe e si è autorevolmente fatto – la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Convenzione 108, il celeberrimo GDPR, la nostra Costituzione, il Codice Privacy e senza avventurarsi in pure dotti e stimolanti discussioni giuridiche sui diritti fondamentali, su quelli costituzionali, sull’inesistenza di diritti tiranni o sull’importanza dell’indipendenza della nostra Autorità come pure ha fatto di recente, proprio su questa rivista, Ginevra Cerrina Feroni,  forse se solo pensassimo più spesso a come sarebbe la nostra vita e quella di milioni di persone, nel quotidiano, senza il diritto alla privacy ci verrebbe più facile difenderla da chi la vilipende e offende senza, probabilmente, capirne l’importanza e vivendola solo come un fastidio rispetto alla immediata realizzazione dei propri propositi.