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Ordinanza ingiunzione nei confronti del Ministero dell’Interno - 24 febbraio 2022 [9766445]

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[doc. web n. 9766445]

Ordinanza ingiunzione nei confronti del Ministero dell’Interno - 24 febbraio 2022

Registro dei provvedimenti
n. 61 del 24 febbraio 2022

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte il prof. Pasquale Stazione, presidente, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente, l’avv. Guido Scorza, componente e il dott. Claudio Filippi, vice segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (Regolamento generale sulla protezione dei dati, di seguito, "Regolamento");

VISTO il Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, recante il Codice in materia di protezione dei dati personali (di seguito “Codice”);

VISTO il Decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51, entrato in vigore l’8 giugno 2018, recante l’attuazione della Direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio;

VISTO il Decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 2018, n. 15 recante il “Regolamento a norma dell'articolo 57 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante l'individuazione delle modalità di attuazione dei principi del Codice in materia di protezione dei dati personali relativamente al trattamento dei dati effettuato, per le finalità di polizia, da organi, uffici e comandi di polizia”;

VISTO l’art. 49 del d.lgs. n. 51/2018 secondo cui “l’articolo 57 del Codice è abrogato decorso un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. I decreti adottati in attuazione degli articoli 53 e 57 del Codice continuano ad applicarsi fino all’adozione di diversa disciplina ai sensi degli articoli 5, comma 2, e 9, comma 5” (commi 2 e 3 dell’art. 49 cit.);

VISTO il Regolamento del Garante n. 1/2019 concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati al Garante per la protezione dei dati personali, approvato con deliberazione del n. 98 del 4/4/2019, pubblicato in G.U. n. 106 dell’8/5/2019 e in www.gpdp.it, doc. web n. 9107633 (di seguito “Regolamento del Garante n. 1/2019”);

Vista la documentazione in atti;

Viste le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del Regolamento del Garante n. 1/2000 sull’organizzazione e il funzionamento dell’ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, doc. web n. 1098801;

Relatore la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni;

PREMESSO

1. La vicenda.

Nel corso di un procedimento avviato dal Sig. XX, è stata segnalata all’Autorità la pubblicazione, su alcuni siti internet e testate giornalistiche, di un video e di immagini, contraddistinti dallo stemma della Polizia di Stato, nei quali si riportano le operazioni di arresto eseguite il 16 febbraio 2015 dalla XX nei confronti di otto indagati, ritenuti responsabili di alcuni reati, tra i quali vi è il predetto interessato. 

Il video in questione, nel quale sono visibili alcuni momenti delle suddette operazioni, associati alle immagini degli arrestati (ritratti in primo piano con impresso sotto ogni immagine il loro nominativo), è risultato visualizzabile sulla pagina Facebook della XX, come segnalato dal suddetto interessato, accompagnato dal seguente testo: XX (https://...) e sulla piattaforma web YouTube (http://...).

A seguito dell’accertamento di tale trattamento, il Garante per la protezione dei dati personali (“Garante”) ha avviato un’istruttoria nei confronti del Ministero dell’Interno (“Ministero”), al quale ha inviato una richiesta di informazioni, rivolta anche alla XX, in ordine alle modalità e finalità della diffusione del video in questione, agli atti con i quali è stata (eventualmente) assunta la decisione di diffondere tale video, nonché in ordine alle misure tecnico-organizzative adottate al fine di garantire il rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali, con particolare riferimento a quanto sancito dal citato art. 14 del D.P.R. 15/2018, anche alla luce dell’istituzione (con decreto del Capo della Polizia del 23 luglio 2019) della Struttura di missione per l'individuazione e la realizzazione delle misure tecnico-organizzative in materia di trattamento dei dati personali, comunicata al Garante con nota n. 555-DOC/C/SPEC/SPMAS/3862/19 del 24 luglio 2019 (nota prot. n. 30208 del 7 agosto 2020.

Il Ministero ha fornito riscontro alla suddetta richiesta, con nota prot. n. 555-DOC/C/SMPD/4503/20 del 18 settembre 2020, a mezzo della quale ha rappresentato:

- in merito alla natura delle immagini in questione, pubblicate dalla XX, che le stesse non hanno “la caratteristica di riprodurre «persone in stato di detenzione» e dunque non possono essere assimilate alle «foto segnaletiche»” (pag. 2 della nota cit.), richiamando Cass. civ., Sez. III, 9 gennaio 2014, n. 194 e Cass. civ., Sez. III, 21 marzo 2014, n. 12834;

- in merito alle finalità del trattamento in questione, che “la pubblicazione delle fotografie in esame è stata effettuata conformemente al dettato del D.P.R. n. 15 del 2018, il quale recita «La diffusione di immagini personali è consentita quando ... è giustificata da necessità di giustizia o di polizia... essa è comunque effettuata con modalità tali da non recare pregiudizio alla dignità della persona...» (art. 14, comma 2, D.P.R. cit.) Lo "scopo specifico" della pubblicazione si ricollega infatti alla necessità di favorire lo svolgimento delle indagini di polizia giudiziaria, permettendo alle persone venute "in contatto" con gli arrestati di rivelare nuovi dettagli utili a completare il quadro probatorio e soprattutto di identificare in essi gli autori di eventuali analoghi atti criminali in precedenza rimasti ignoti. Gli arrestati (in esecuzione di ordinanze di misura cautelare) appartenevano infatti ad un pericoloso e organizzato gruppo delinquenziale dedito alla commissione di furti e rapine (aggravate dall'uso di armi da fuoco) in danno di istituti bancari e uffici postali, perpetrati in diverse città e nell'arco temporale di diversi anni e proprio tali caratteri  di "diffusività" avevano giustificato la pubblicazione delle immagini per raggiungere la più ampia platea e consentire a quanti avessero "incrociato" gli indagati di riconoscerli e collaborare con la giustizia.” (pag. 4 della nota cit.);

- in merito alle modalità di diffusione delle immagini, che “la Questura nell'invio del comunicato audio-video alle agenzie e alle testate giornalistiche interessate, come pure nella sua pubblicazione sulla propria pagina Facebook, si è conformata alle direttive impartite dallo scrivente Dipartimento della pubblica sicurezza - già note a codesta Autority - e in particolare a quella diramata con la nota di prot. n.555/EST/S/1/1668/14, del 23 luglio 2014, concernente l'attività di informazione e comunicazione istituzionale della Polizia di Stato”, secondo la quale “... per le attività di polizia giudiziaria, andranno osservate le eventuali disposizioni di massima impartite dall'Autorità Giudiziaria competente relativamente a specifici motivi di riservatezza...”; “che eventuali riproduzioni fotografiche o filmati attinenti alle operazioni di polizia giudiziaria siano condivise preliminarmente con l'Ufficio Relazioni Esterne e Cerimoniale, al fine di verificare ulteriormente che il materiale multimediale sia corrispondente alla normativa vigente ed alle direttive emanate dal Garante della privacy, specialmente in tema di rispetto della dignità della persona ...” e che “la diffusione di immagini riguardanti persone nella fase dell'esecuzione di misure restrittive  della libertà personale - e sempre nel rispetto della loro dignità - è ammessa solo in via del tutto eccezionale, ad esempio in occasione dell'arresto di un grande ricercato. La diffusione di foto segnaletiche può invece essere autorizzata solo quando siano le uniche disponibili, e sussista la necessità di divulgarle, come nell'ipotesi di evasioni o di pericolose latitanze”. Inoltre, si è rappresentato che: “per quanto riguarda la decisione di diffondere il comunicato audio-video, per prassi consolidata l'iniziativa è di competenza dell'Ufficio Stampa della Questura, di concerto con l'articolazione investigativa che ha svolto l'attività di indagine, in ogni caso con il placet del Questore. Inoltre, come sopra accennato, il filmato è preliminarmente condiviso con l'Ufficio Relazioni Esterne e Cerimoniale del Dipartimento della pubblica sicurezza, al quale è affidato il compito di vagliarne ulteriormente i contenuti in ordine alla conformità alla normativa in materia di protezione dei dati personali.” (pag. 4 della nota cit.);

- relativamente alle misure di sicurezza tecniche per garantire la protezione dei dati personali, che “nell'ambito dell'Ufficio Stampa le immagini personali sono trattate dal personale autorizzato con l'impiego di strumenti elettronici. I dati informatici sono custoditi nei computer dell'Ufficio e sono accessibili al solo al personale dotato di credenziali di autenticazione personali” (pag. 5 della nota cit.).

A seguito del suddetto riscontro ed all’esito di alcuni accertamenti dell’Ufficio relativi alla permanente divulgazione delle immagini in questione, il Garante ha chiesto ulteriori chiarimenti al Ministero sulle ragioni per le quali la divulgazione di tali immagini, con impressi i nominativi degli interessati, veniva ancora effettuata sul profilo Facebook della XX e se era intenzione del Ministero, tramite la Questura, di rimuoverle, restando comunque salva ogni valutazione del Garante in merito al trattamento in oggetto, anche ai fini dell’avvio di un procedimento per l’adozione di un provvedimento correttivo/sanzionatorio (nota prot. n. 14869 del 15 dicembre 2020). Nel riscontro, il Ministero ha rappresentato che “nel caso specifico, la finalità della comunicazione era quella di far conoscere agli utenti l'identità delle persone responsabili dei crimini, per poter accertare proprio attraverso la divulgazione dei loro volti, se ci fossero altri episodi a loro collegati. Si rappresenta infine che, considerato anche il tempo trascorso dalla loro pubblicazione, la XX, in data 23 dicembre u.s., alle ore 9.54, ha proceduto alla rimozione delle immagini dalla pagina Facebook della Questura” (nota prot. n. 49861 del 31 dicembre 2020).

Successivamente, in data 15 gennaio 2021, l’Autorità ha effettuato un accesso alla pagina web https://... contenente il video denominato “XX”, di cui ha acquisito una copia e che è risultato pubblicato in data 16 febbraio 2015 sul canale YouTube denominato “Pupia Crime” con 2.362 visualizzazioni.

Con nota prot. n. 3070 del 15 gennaio 2021, l’Ufficio, sulla base degli elementi acquisiti nell’ambito dell’istruttoria avviata, e delle successive valutazioni effettuate, ha notificato al Ministero, in qualità di titolare del trattamento, ai sensi degli artt.  42, comma 4, del d.lgs. n. 51/2018, 166, comma 5, del Codice e 12 del Reg. del Garante n. 1/2019, l’avvio del procedimento per l’adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 37, comma 3, e 42 del d.lgs. n. 51/2018, invitandolo a produrre al Garante scritti difensivi o documenti ovvero a chiedere di essere sentito dall’Autorità (art. 166, commi 6 e 7, del Codice; art. 18, comma 1, della legge n. 689 del 24/11/1981; art. 13, comma 3, Reg. del Garante n. 1/2019).

In particolare, l’Ufficio ha rilevato che il Ministero ha posto in essere un trattamento dei dati personali dell’interessato, con le modalità sopra descritte, in violazione dell’art. 3, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 51/2018, in combinato disposto con gli artt. 5 d.lgs. n. 51/2018 e 14 D.P.R. n. 15/2018 (cfr. artt. 4 e 8 Direttiva UE 2016/680), violazione che rendeva applicabile la sanzione amministrativa prevista dall’art. 42 del d.lgs. n. 51/2018 (cfr. art. 57 Direttiva UE 2016/680).

A seguito dell’avvio del procedimento, il Ministero non ha fatto pervenire alcuno scritto difensivo né richiesta di audizione.

2. Esito dell’attività istruttoria e disciplina applicabile.

Come è stato già rappresentato in sede di comunicazione di avvio del procedimento, sulla base di quanto riferito dal Ministero, risulta accertato che il trattamento in questione - consistente nella divulgazione di un video contenente le immagini dei volti, con impressi i rispettivi nominativi, di otto indagati di cui si dava notizia dell’arresto e le immagini dei momenti in cui gli stessi (in questo caso, con il volto coperto) venivano condotti dagli agenti di polizia nelle auto di servizio - è avvenuto per finalità di polizia e si è protratto fino al 23 dicembre 2020 (giorno in cui è stato rimosso dal profilo Facebook della XX).

Al trattamento descritto si ritiene applicabile: la Direttiva (UE) 2016/680, che nel preambolo richiama la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (cfr. cons. 1 e 46 Direttiva); il Decreto legislativo n. 51 del 18 maggio 2018; il Decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 2018, n. 15 che individua le modalità di attuazione dei principi del Codice relativamente al trattamento dei dati effettuato, per finalità di polizia, da organi, uffici e comandi di polizia (tuttora vigente ai sensi dell’art. 49 d.lgs. n. 51/2018).

Il d.lgs. n. 51/2018 stabilisce, in particolare, che i dati personali sono “trattati in modo lecito e corretto” (art. 3, comma 1, lett. a)) e che il trattamento è lecito se è necessario per l’esecuzione di un compito di un’autorità competente per le finalità di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali (art. 5, comma 1). I dati personali, inoltre, sono “b) raccolti per finalità determinate, espresse e legittime e trattati in modo compatibile con tali finalità; c) adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono trattati” (art. 3, comma 1, lett. b) e c)) ed il titolare è responsabile del rispetto di tali principi.

Con particolare riguardo alla divulgazione di immagini personali, il D.P.R. n. 15/2018 prevede che “la diffusione di immagini personali è consentita quando la persona interessata ha espresso il proprio consenso o è necessaria per la salvaguardia della vita o dell'incolumità fisica o è giustificata da necessità di giustizia o di polizia; essa è comunque effettuata con modalità tali da non recare pregiudizio alla dignità della persona.” (art. 14, comma 2). Peraltro, ad oggi nessuna comunicazione risulta esser stata effettuata al Garante, ai sensi del comma 3 del citato articolo 14 che sancisce: “il Garante è informato delle direttive generali adottate in ambito nazionale sulla diffusione dei dati o delle immagini personali”.

3. La giurisprudenza della Corte EDU.

Più in generale, la diffusione di un’immagine di una persona destinataria di misure coercitive integra una violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), se non avviene nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 8 CEDU, che stabilisce: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

La Corte EDU ha esaminato, quindi, tale “ingerenza”, al fine di stabilire se sia prevista dalla legge, persegua uno scopo legittimo e sia proporzionata allo scopo perseguito (Corte EDU Toma c. Romania, n. 42716/02, 24 febbraio 2009; Khoujine e altri c. Russia, n. 13470/02, 23 ottobre 2008; Gurgenidze c. Georgia, n. 71678/01, 17 ottobre 2006; Sciacca c. Italia, n. 50774/99, 11 gennaio 2005, § 28/29).

Per quanto riguarda l’esame dello scopo legittimo, la Corte EDU ha affermato che, per poter giustificare una tale limitazione del diritto alla vita privata, consistente nella pubblicazione di una foto relativa a soggetti sottoposti a procedure penali pendenti, devono sussistere delle valide e convincenti ragioni (Khoujine e altri c. Russia, cit., § 117; Toma c. Romania, n. 42716/02, 24 febbraio 2009, § 92). Nei suddetti giudizi, in un caso, le autorità avevano fornito alla stampa la foto di un interessato al tempo in stato di custodia cautelare, in un altro caso, avevano consentito l’accesso della stampa ai locali di polizia dove un altro interessato si trovava in arresto. Tenuto conto del fatto che i ricorrenti non erano latitanti, si trovavano in stato di detenzione e il pro¬cesso non era ancora cominciato, la Corte ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 8 CEDU poichè l’ingerenza non perseguiva alcuno scopo legittimo, non mirando a proteggere alcun interesse di giustizia, quale ad esempio assi¬curare la comparizione del ricorrente al processo o prevenire delle infrazioni di natura penale (Khoujine e altri c. Russia, cit., § 117; Toma c. Romania, n. 42716/02, 24 febbraio 2009, § 92).

Quanto alla proporzionalità della misura adottata, la Corte EDU ha ritenuto non applicabile mutatis mutandis la propria giurisprudenza relativa alla pubblicazione sulla stampa di immagini o video di personaggi pubblici ai casi in cui tali pubblicazioni riguar¬dino persone accusate nel quadro di un procedimento penale, non ritenute “figure pubbliche” per il solo fatto di essere parte di un processo penale, bensì “persone ordinarie”, che devono godere quindi di una maggiore prote¬zione del diritto alla vita privata (Sciacca c. Italia, cit., § 28/29 e Gourguénidzé c. Georgia, cit., § 57).

Deve tenersi conto, peraltro, che tali persone godono dell’ulteriore protezione derivante dalla “presunzione di non colpevolezza” di cui all’art. 27, comma 2, della Costituzione (cfr. artt. 6, par. 2, CEDU, 48 CDFUE, cons. 31 della Direttiva UE 2016/680). Se è quindi lecito fornire all’opinione pubblica un’informazione il più possibile completa su quegli aspetti della indagine che non sono più coperti da segreto, è sempre necessario tenere in debita considerazione la presunzione di non colpevolezza e la dignità delle persone sottoposte ad indagine (v. circolare della Procura di Napoli n. 4 del 19 dicembre 2017.

4. Il trattamento dei dati e la dignità della persona.

Ciò considerato e tenuto conto altresì delle disposizioni sovranazionali citate, nonché della giurisprudenza della Corte EDU, il trattamento in esame, consistente nella divulgazione dell’immagine degli interessati nel contesto descritto, non è risultato “necessario” per l’esecuzione di un compito di un’autorità competente per finalità di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali (cfr. artt. 3, c. 1, lett. a) e 5 d.lgs. n. 51/2018). Al riguardo, il Ministero non ha dimostrato nel corso del procedimento dinanzi al Garante le effettive necessità di polizia a fondamento della divulgazione in esame, tenuto conto altresì del fatto che il video raccontava le operazioni di arresto degli interessati, senza dar conto dei motivi per cui si rendeva necessaria la divulgazione delle immagini in esame. Né tale necessità può ravvisarsi nel generico intento di “completare il quadro probatorio e soprattutto di identificare in essi gli autori di eventuali analoghi atti criminali in precedenza rimasti ignoti” (cfr. nota del 18 settembre 2020 cit.), privo di ogni elemento di concretezza e specificità che possa giustificare un trattamento come quello in esame. Peraltro, la circostanza che la rimozione delle immagini sia avvenuta, solo su invito del Garante, a distanza di più di 5 anni dal momento in cui si sono svolte le operazioni di arresto, rappresenta un ulteriore indice dell’illiceità del trattamento in esame, anche in considerazione dell’idoneità dello stesso di recare pregiudizio alla dignità degli interessati.

In proposito si evidenzia che, nel video, 7 immagini su 8 dei volti degli interessati, di cui si dà notizia dell’arresto, appaiono avere le caratteristiche di immagini acquisite durante le operazioni di arresto e sono anticipate da altri fotogrammi, nelle quali i medesimi interessati (seppur a volto coperto, ma nelle immagini successive chiaramente in primo piano) vengono coattivamente condotti dagli agenti di polizia all’interno delle auto di servizio.

Le immagini, quindi, sia per le caratteristiche dell’inquadratura sia per la presenza al loro interno del logo istituzionale della Polizia di Stato, associate ai precedenti fotogrammi nei quali gli interessati vengono tratti in arresto, appaiono nella sostanza assimilabili alle foto segnaletiche, anche se in assenza dei numeri in sovrimpressione.

Al riguardo, va ricordato – come sottolineato dalla Corte di Cassazione – che la dignità della persona umana va tutelata in ogni situazione, specie “quando la persona si trovi in una situazione di momentanea inferiorità che la rende particolarmente esposta e vulnerabile, allo scopo di evitare che la legittima ed anzi tutelata anche a livello costituzionale attività di diffusione delle notizie sia effettuata con modalità gratuitamente umilianti nei confronti dei soggetti coinvolti. La foto segnaletica nasce infatti con una finalità precisa (identificare un soggetto nello schedario di polizia) e per questo deve rispettare certi requisiti standard per cui, per la posizione forzata fatta assumere al soggetto ritratto, per il fatto che reca delle indicazioni numeriche in sovrimpressione atte ad identificare la persona ritratta, inequivocabilmente sottoposta a misura restrittiva della libertà, per il contesto di luogo e di fatto in cui è scattata, essa ritrae una persona contro la sua volontà in una situazione obiettivamente umiliante in cui questa non può opporsi nè allo scatto della foto nè ad altre pratiche identificative per altri versi mortificanti” (Cass. Civ., sez. III, 6 giugno 2014 n. 12834).

Nella fattispecie, se è vero che non sono visualizzabili le indicazioni numeriche in sovraimpressione, sostituite nel video dai nominativi degli interessati, ricorrono comunque tutti gli altri elementi menzionati dalla Suprema Corte (posizione forzata del soggetto, ritratto in primo piano, senza il suo consenso e in una situazione obiettivamente umiliante), ai quali si aggiungono le ulteriori immagini degli interessati che, seppur a volto coperto, vengono coattivamente tratti in arresto.

Peraltro, sia che si tratti della diffusione di una “foto segnaletica” sia che si tratti della diffusione di una semplice foto formato tessera dell’arrestato, deve comunque tenersi conto della “particolare potenzialità lesiva della dignità della persona connessa all’enfatizzazione tipica dello strumento visivo, e della maggiore idoneità di esso ad una diffusione decontestualizzata e insuscettibile di controllo da parte della persona ritratta” (Cass. civ., sez. III, 6 giugno 2014 n. 12834; Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2020 n. 8878).

In tema di divulgazione delle immagini di persone sottoposte a procedimenti giudiziari, il Garante è intervenuto più volte nei confronti di testate giornalistiche e siti internet, affermando il divieto di diffondere le immagini delle medesime, anche nell’ambito di conferenze stampa, se non ricorrono fini di giustizia e di polizia o motivi di interesse pubblico (tra gli altri, Provv. n. 76 del 25 febbraio 2021 in www.gpdp.it - doc. web n. 9568040, n. 38 del 7 febbraio 2019 in www.gpdp.it - doc. web n. 9101651 26 novembre 2003 in www.gpdp.it - doc. web n. 1053631, Provv. 19 marzo 2003 in www.gpdp.it - doc. web n. 1053451).

Alla luce degli assorbenti criteri definiti dalla Suprema Corte circa la potenzialità lesiva dell’immagine e della dignità di persone sottoposte a poteri coercitivi, diviene irrilevante soffermarsi ulteriormente sul fatto che si tratti o meno di “immagini di persone in stato di detenzione”, rilevando invece la circostanza che il trattamento in parola non sia sorretto da “necessità” di polizia.

Occorre infatti considerare che il trattamento in esame è stato effettuato nell’ambito dell’esercizio di compiti di polizia, come riconosciuto dallo stesso Ministero, e quindi non è regolato dagli articoli 136 e ss del Codice e dal relativo codice deontologico, che all’articolo 8 reca una disciplina ad hoc per la divulgazione di immagini di persone in stato di detenzione nell’ambito di attività giornalistiche, bensì dal d.lgs. 51/2018 e dal DPR n. 15/2018 citati.

Nel caso in esame, pertanto, il trattamento deve essere esaminato alla luce di tale cornice normativa per cui il trattamento dei dati personali da parte delle autorità di polizia è “lecito se è necessario” per l'esecuzione di un compito  di  un'autorità  competente  per  finalità   di   polizia e di giustizia (artt. 1, comma 2, 3, comma 1, lett. a) e 5 d.lgs. n. 51/2018),  mentre la divulgazione delle immagini è consentita quando è giustificata “da necessità di giustizia o di polizia; essa è comunque effettuata con modalità tali da non recare pregiudizio alla dignità della persona” (art. 14, comma 2, DPR 15/2018).

Peraltro, tali principi di necessità di giustizia e polizia e di tutela della dignità della persona - richiamati a tutela dell’immagine anche dagli articoli 10 del codice civile e 97 della legge n. 633/1941 in tema di diritto d’autore - sono espressamente richiamati dallo stesso Ministero nella circolare 123/A183.B320 del 26.2.1999, con cui si sottolinea l'esigenza che, anche nell'ipotesi di indiscutibile "necessità di giustizia e di polizia" alla diffusione di immagini, circostanza che non ricorre nella vicenda in esame, "il diritto alla riservatezza della tutela della dignità personale va sempre tenuto nella massima considerazione". Anche nella successiva circolare 555/EST/S/1/1668/14 del 23 luglio 2014 concernente l'attività di informazione e comunicazione istituzionale della Polizia di Stato, si evidenzia che “la diffusione di foto segnaletiche può invece essere autorizzata solo quando siano le uniche disponibili, e sussista la necessità di divulgarle, come nell'ipotesi di evasioni o di pericolose latitanze”. Nella vicenda in esame, come si è visto, l’omissione dei numeri in sovraimpressione (sostituita, peraltro, dai nominativi dei 7 interessati suddetti) non fa venir meno le caratteristiche proprie delle immagini in questione.

5. Conclusioni.

Alla luce delle valutazioni sopra richiamate, tenuto conto delle dichiarazioni rese dal titolare del trattamento nel corso dell’istruttoria ˗ e considerato che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante” ˗ gli elementi forniti dal titolare del trattamento nel corso dell’istruttoria non consentono di superare i rilievi notificati dall’Ufficio con l’atto di avvio del procedimento.

Posto, infatti, che il titolare è responsabile del rispetto dei principi di cui all’articolo 3, comma 1, del d.lgs. n. 51/2018 (art. 3, comma 4) e deve essere “in grado di comprovarlo” (art. 4, par. 4, Direttiva UE 2016/680), nel corso dell’istruttoria svolta non è emersa alcuna effettiva necessità di divulgare le immagini in questione – in aggiunta alle diverse informazioni fornite alla stampa a corredo delle stesse, tra cui i nominativi degli interessati, il numero di una targa automobilistica ed altri elementi relativi al procedimento giudiziario in corso - risultando il trattamento medesimo non solo non necessario, ma altresì eccedente rispetto alle finalità di polizia (art. 3, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 51/2018), tenuto conto che la divulgazione in esame era ancora in corso nel dicembre 2020, mentre le operazioni di arresto sono avvenute nel febbraio 2015, e che la finalità indicata dal Ministero appare, per la sua genericità, inidonea a giustificare una diffusione di immagini di tale natura, senza alcuna considerazione per le suddette esigenze di tutela della dignità, della sfera privata e di protezione dei dati personali, chiaramente presidiate dalla Corte EDU e dalla Suprema Corte di Cassazione.

In altri termini, le immagini in esame sono state diffuse dal Ministero in violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali ed in modo lesivo della dignità delle persone interessate, anche in considerazione dello stato di soggezione degli stessi e del lungo periodo trascorso dal momento dell’arresto al momento in cui, su istanza dell’Autorità, le immagini sono state rimosse dal titolare.

Per tali ragioni, il trattamento di dati personali effettuato dal Ministero dell’interno mediante la divulgazione di dati in questione risulta illecito, in violazione degli articoli 3, comma 1, lett. a) e c) e 5 del d.lgs. n. 51/2018 e 14 del D.P.R. n. 15/2018.

La violazione della disposizione di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), è punita, ai sensi dell’articolo 42, comma 1, del d.lgs. n. 51/2018, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 50.000 euro a 150.000 euro. Il medesimo articolo stabilisce al terzo comma che nella determinazione della sanzione amministrativa da applicare si tiene conto dei criteri di cui all'articolo 83, paragrafo 2, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), k), del Regolamento.

Sulla base di tali criteri, deve tenersi conto della particolare natura dei dati in parola (immagini riferite a persone sottoposte ad arresto) e della durata del trattamento in esame (immagini divulgate per anni).

In ragione dei suddetti elementi, valutati nel loro complesso, si ritiene di determinare l’ammontare della sanzione pecuniaria in euro 60.000 (sessantamila), quale misura effettiva, proporzionata e dissuasiva (art. 83, par. 1, Regolamento).

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

dichiara l’illiceità del trattamento dei dati degli interessati, svolto dal Ministero, per la violazione degli articoli 3, comma 1, lett. a) e c) e 5 del d.lgs. n. 51/2018 e 14 del D.P.R. n. 15/2018, nei termini di cui in motivazione e, conseguentemente,

ORDINA

al Ministero dell’Interno, titolare del trattamento, di pagare la somma di euro 60.000,00 (sessantamila) a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione dell’articolo 3, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 51/2018, rappresentando che il contravventore, ai sensi dell'art. 166, comma 8, del Codice, ha facoltà di definire la controversia mediante il pagamento, entro il termine di trenta giorni, di un importo pari alla metà della sanzione irrogata;

INGIUNGE

al predetto titolare, in caso di mancata definizione della controversia ai sensi dell’articolo 166, comma 8, del Codice, di pagare la somma di euro 60.000,00 (sessantamila), secondo le modalità indicate in allegato, entro 30 giorni dalla notificazione del presente provvedimento, pena l’adozione dei conseguenti atti esecutivi a norma dall’art. 27 della legge n. 689/1981;

DISPONE

ai sensi dell’articolo 166, comma 7, del Codice, la pubblicazione per intero del presente provvedimento sul sito web del Garante e ritiene che ricorrano i presupposti di cui all’articolo 17 del regolamento del Garante n. 1/2019 concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati all’Autorità.

Ai sensi degli articoli 39, comma 3, del d.lgs. n. 51/2018 e 10 del d. lgs. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione, in via alternativa, al tribunale del luogo in cui il titolare del trattamento risiede o ha sede, ovvero al tribunale del luogo di residenza dell'interessato, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso.

Roma, 24 febbraio 2022

IL PRESIDENTE
Stanzione

IL RELATORE
Cerrina Feroni

IL VICE SEGRETARIO GENERALE
Filippi