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Provvedimento del 30 novembre 2006 [1370442]

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[doc. web n. 1370442]

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;

Esaminato il ricorso presentato da XY, rappresentato e difeso dall´avv. Francesco Coran presso il cui studio ha eletto domicilio

nei confronti di

Arma dei Carabinieri–Reparto investigazioni scientifiche di Parma;

Visti gli articoli 7, 8 e 145 ss. del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196);

Viste le osservazioni dell´Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell´art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

Relatore il prof. Francesco Pizzetti;

PREMESSO

Il ricorrente è stato accusato (e condannato in primo grado) per furto in un´abitazione a seguito del rinvenimento, in una delle autovetture rubate, di un fazzoletto e di un guanto dai quali è stato estratto un profilo biologico (Dna) che risulta compatibile con quello del ricorrente stesso.

Nel corso del dibattimento è stato sentito come testimone un ufficiale dei Carabinieri in servizio presso il Reparto investigazioni scientifiche di Parma (maggiore YZ), il quale, dopo aver illustrato le modalità attraverso cui è stato estrapolato il predetto profilo biologico, ha dichiarato che lo stesso è compatibile con quello attribuito a XZ (alias del ricorrente) nell´ambito di una precedente indagine, svolta tra il 1998 e il 1999, in relazione ad un caso di violenza sessuale perpetrata a WZ e rimasto irrisolto. 

A seguito delle dichiarazioni rese dal predetto ufficiale, il 5 maggio 2006 il ricorrente ha inviato all´Arma dei Carabinieri-Reparto investigazioni scientifiche di Parma un´istanza ai sensi degli artt. 7 e 8 del Codice con la quale, nel ritenere illecita la conservazione presso il reparto del profilo biologico estrapolato, a propria insaputa, nel 1998, nell´ambito del predetto procedimento penale archiviato per mancata identificazione dell´autore del reato, ha chiesto la cancellazione dei dati relativi al profilo stesso in forma sia cartacea, sia elettronica, nonché la distruzione degli eventuali campioni biologici detenuti, in quanto trattati in violazione di legge e non essendo più la loro conservazione necessaria in relazione agli scopi per i quali gli stessi sono stati trattati. Il ricorrente ha osservato in particolare che, "poiché l´incarico della Procura di WY era unicamente quello di verificare se il profilo biologico" del ricorrente "corrispondeva a quello dell´autore della violenza, ed è risultato negativo, non sussiste alcun diritto di continuare a conservare e a trattare detti dati".

Non avendo ricevuto un riscontro idoneo, l´interessato ha proposto un ricorso ai sensi degli artt. 145 e ss. del Codice con il quale ha ribadito le proprie richieste, affermando, in particolare, che tutte le disposizioni contenute nel Codice in materia di protezione dei dati personali (e, tra esse, quelle che regolano la presentazione dei ricorsi al Garante) si applicano ai trattamenti effettuati da forze di polizia, organi di pubblica sicurezza e da altri soggetti pubblici per finalità di tutela dell´ordine e della sicurezza pubblica, prevenzione, accertamento o repressione dei reati, qualora gli stessi trattamenti siano posti in essere, come ritenuto dal medesimo ricorrente nel caso di specie, in assenza di una "espressa disposizione di legge" (secondo la previsione dell´art. 53, comma 1, del Codice). La conservazione del profilo genetico del ricorrente, sebbene raccolto nell´ambito di un´indagine a tappeto promossa nel 1998 dalla Procura della Repubblica di WY, non risulterebbe a suo avviso legittimata né dall´esistenza di una disposizione normativa, né da un´autorizzazione della Procura medesima; ciò, specie in considerazione del fatto che il Ris di Parma avrebbe, nel caso di specie, svolto un´attività di consulente tecnico del pubblico ministero ai sensi dell´art. 359 c.p.p. che l´avrebbe legittimato a svolgere un accertamento, ma non "autorizzato ad istituire e conservare archivi illegittimi".

A seguito della nota inviata dall´Autorità ai sensi dell´art. 149, comma 1, del Codice, l´Arma dei Carabinieri ha fornito, in ordine alle richieste formulate dal ricorrente, una serie di elementi di riscontro con memoria pervenuta il 18 settembre 2006. In particolare, la resistente ha comunicato che, nel 1998, il profilo genetico di XZ (alias XY) "che, come tutti i profili genetici, consiste in una combinazione numerica, è stato ricavato da un boccale di birra usato dallo stesso soggetto per bere, repertato dalla polizia giudiziaria ed inviato al Ris di Parma su delega della Procura della Repubblica. Il profilo genetico è stato archiviato elettronicamente e forma elemento integrante del relativo fascicolo d´indagine, analogamente a quanto avviene per ogni altro dato investigativo (fotografie, atti, cose pertinenti al reato)". Tale profilo genetico, conservato in un "repertorio informatico che permette di raccogliere i singoli profili genetici relativi a casi giudiziari oggetto di indagine", è risultato compatibile con quello ricavato dalle tracce repertate dopo il rinvenimento dell´autovettura rubata, all´atto del confronto di quest´ultimo con i profili genetici "disponibili e relativi ad altri fatti delittuosi commessi nell´area".

Nel richiamare l´art. 53 del Codice (il quale prevede che ai trattamenti di dati personali effettuati da organi di pubblica sicurezza per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati, non si applicano, tra l´altro, le disposizioni relative ai ricorsi ex artt. 145 e s. del Codice medesimo), la resistente ha sostenuto che il ricorso sarebbe inammissibile osservando che la polizia giudiziaria svolge l´attività di indagine penale, su delega dell´autorità giudiziaria o anche d´iniziativa, in ossequio alle principali disposizioni di legge che l´autorizzano nei singoli casi (artt. 55, 348, 349, 359, 360 e 370 c.p.p.).

Inoltre, sempre ad avviso della resistente, il ricorso sarebbe da un lato inammissibile anche ai sensi dell´art. 145, comma 2, del Codice, dal momento che il ricorrente avrebbe già fatto valere in sede giudiziaria le stesse eccezioni in ordine all´illiceità dell´archivio del Ris di Parma, in particolare dinanzi al Tribunale del riesame di WY (Tribunale che, in data 30 maggio 2006, ha respinto la richiesta di revoca della misura cautelare in carcere). Dall´altro, l´istanza di cancellazione dei dati sarebbe comunque inaccoglibile dal momento che l´Arma-Ris di Parma non avrebbe piena titolarità sui dati del ricorrente, "poiché tali dati sono stati acquisiti nell´ambito di un procedimento penale (nel caso di specie –violenza sessuale– senza autori individuati), sul quale esercita piena signoria la sola autorità giudiziaria". Al riguardo, si è ritenuto che "solo l´autorità giudiziaria possa disporre la distruzione del dato archiviato a seguito di indagine da lei delegata".

Circa la liceità del confronto effettuato, l´Arma ha poi osservato: "la detenzione in forma elettronica dei profili in questione rappresenta semplicemente una modalità agevole e tecnicamente adeguata (…) di gestione, ma l´archiviazione avviene per singole ipotesi criminose, a seguito di indagini dirette dall´autorità giudiziaria". In concreto non potrebbe "escludersi la legittimità di un confronto a mano di tracce genetiche provenienti da diversi contesti investigativi, finalizzato ad identificare una persona coinvolta in un reato; pertanto, la possibilità che il confronto avvenga per via elettronica agevola semplicemente il processo, ma non altera il fondamento giuridico sotteso all´attività di indagine".

Nell´audizione del 20 settembre 2006, il difensore del ricorrente, in replica alla memoria prodotta dalla resistente e nel chiedere che le spese relative al procedimento siano poste a carico della controparte, ha dichiarato tra l´altro che:

  • l´eccezione di inammissibilità ai sensi dell´art. 145, comma 2, del Codice sarebbe infondata "in quanto il Tribunale del riesame ha valutato solo incidentalmente la questione e non nelle forme" dell´art. 152 del Codice;
  • non vi sarebbe alcun obbligo "di ottenere l´autorizzazione dell´autorità giudiziaria per la distruzione dei dati di persone estranee ai reati anche perché l´autorità giudiziaria non può disporre il contrario e nella maggior parte dei casi non è neppure a conoscenza del trattamento";
  • "l´art. 10 della legge n. 121/1981 sarebbe svuotato di significato se ogni reparto investigativo potesse creare una banca dati per improprio uso e sottratta al controllo del Garante".

Con memoria datata 3 ottobre 2006, la resistente ha ribadito di ritenere inammissibile il ricorso anche ai sensi dell´art. 145, comma 2, del Codice, rilevando che, concludendo diversamente, si potrebbe pervenire a due pronunce differenti, provenienti una dall´autorità giudiziaria e, l´altra, da un´autorità amministrativa quale il Garante. In merito alla conservazione degli atti della polizia giudiziaria, nel rimarcare che gli stessi "non possono essere eliminati discrezionalmente dalla documentazione in possesso della polizia giudiziaria, sulla base della pertinenza o meno al reato", ha comunicato che, per regolamento interno, l´Arma, comunque, "prevede la distruzione del carteggio relativo a delitti e a contravvenzioni (nel termine di cinque anni) e di quello relativo all´attività di polizia (nel termine di venti anni), decorrenti dall´ultimo atto trattato".

A seguito della proroga del termine del procedimento disposta ai sensi dell´art. 149, comma 7, del Codice, nonché di una richiesta di informazioni avanzata dall´Autorità ai sensi dell´art. 157 del Codice, la resistente ha prodotto un´ulteriore memoria con la quale, nel  dichiarare che presso il Ris di Parma non sono detenuti reperti o campioni biologici riferibili all´interessato, ha illustrato ulteriormente le modalità e i presupposti dell´attività svolta da tale reparto in occasione dei due procedimenti in cui è risultato indagato il ricorrente.

In particolare, con riferimento al procedimento per violenza carnale e rapina del 1998, è stato documentato che gli accertamenti tecnici sui reperti per l´estrazione del Dna sono stati delegati specificamente dall´autorità giudiziaria di WY al Ris di Parma ai sensi dell´art. 370 c.p.p. e che il Ris stesso, effettuati gli accertamenti, ha restituito i reperti all´autorità giudiziaria medesima. È stato inoltre documentato che, in tale occasione, né la richiesta di archiviazione presentata dal p.m. per mancanza di elementi di colpevolezza nei confronti del ricorrente, né il successivo decreto di archiviazione del g.i.p. hanno fornito "indicazioni riguardo a eventuali cose o tracce pertinenti al reato".

Con riferimento al procedimento conseguente al furto avvenuto nel 2003 per il quale il ricorrente è stato condannato in primo grado, la resistente ha dichiarato (allegando copia della relativa documentazione) che gli accertamenti tecnici sui reperti sono stati effettuati a cura del Ris di Parma a seguito di un´autorizzazione del 24 novembre 2003 della Procura della Repubblica di WY (che autorizzava anche il confronto degli eventuali profili genetici estrapolati "con quelli presenti presso quei laboratori per casi precedentemente trattati" ) e su successiva delega della medesima autorità giudiziaria all´allora capitano YZ del Ris di Parma in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria. In relazione al procedimento in questione, l´Arma dei Carabinieri ha altresì comunicato che i reperti sono stati restituiti e che la sentenza di condanna del ricorrente, emessa il 22 settembre 2006 presso la sezione distaccata di WZ del Tribunale di WY, non ha disposto alcunché in ordine alla distruzione delle cose e tracce pertinenti al reato.

Inoltre, in merito alla liceità della conservazione dei dati del ricorrente, l´Arma dei Carabinieri -precisando che il sistema informatico in cui è contenuto il dato relativo al profilo genetico dello stesso, "non è collegato in rete con gli altri Ris o altri organi di polizia, non interagisce con altre banche dati, né" è collegato "in alcun modo alla rete web" - ha richiamato l´art. 115, comma 2, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale sostenendo che, sulla base dello stesso, la polizia giudiziaria è obbligata a detenere copia dei verbali redatti a norma dell´art. 357 c.p.p. presso i propri uffici e, quindi, a tenere copia delle annotazioni relative a tutta l´attività svolta dalla polizia giudiziaria, compresa, stante l´art. 348 c.p.p., l´attività delegata dal p.m. ex art. 370 c.p.p.

Considerando infine che non sembrerebbe comunque "esistere un limite all´archiviazione di atti originati o ricevuti da un ufficio pubblico", l´Arma ha ribadito che la facoltà di confrontare le risultanze delle singole indagini non è esclusa dal quadro normativo vigente, che lascia anzi ampio margine di libertà alla polizia giudiziaria –come al pubblico ministero– nell´attività di accertamento dei reati e di individuazione dei relativi autori, e che, in tale quadro, l´archiviazione delle tracce genetiche elaborate dal Ris di Parma nell´esecuzione del proprio servizio di polizia giudiziaria consente "un raffronto a meri fini investigativi e volto all´individuazione dell´autore del reato, in piena aderenza ai doveri della p.g., ai sensi degli artt. 55 e 326 c.p.p.". Ad avviso della resistente, la modalità di trattamento elettronico delle informazioni acquisite non inciderebbe, quindi, sulla liceità dell´attività di raffronto che, seppure agevolata dal supporto informatico, ben potrebbe essere compiuta, come tradizionalmente avvenuto, mediante riscontro manuale degli atti contenuti nei singoli fascicoli d´indagine.

CIÒ PREMESSO, IL GARANTE OSSERVA

Il ricorso concerne un trattamento di dati personali relativi al profilo genetico del ricorrente effettuato presso l´Arma dei Carabinieri-Reparto di investigazione scientifica di Parma in relazione a due procedimenti penali in cui il ricorrente è risultato indagato.

Il ricorso è inammissibile.

Ai sensi dell´art. 8, comma 2, lett. g ), del Codice "i diritti di cui all´articolo 7 non possono essere esercitati con richiesta al titolare o al responsabile o con ricorso ai sensi dell´articolo 145, se i trattamenti di dati personali sono effettuati per ragioni di giustizia, presso uffici giudiziari di ogni ordine e grado o il Consiglio superiore della magistratura o altri organi di autogoverno o il Ministero della giustizia". Secondo l´art. 47, comma 2, del Codice, "agli effetti del presente codice, si intendono effettuati per ragioni di giustizia i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie".

Nel caso di specie, dalla documentazione acquisita nel corso del procedimento si evince che il trattamento dei dati personali relativi al ricorrente, e in particolare del dato relativo al suo profilo genetico, è stato effettuato dall´Arma dei Carabinieri-Reparto investigazioni scientifiche di Parma nell´ambito di un´attività di polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di WY sia in occasione del procedimento giudiziario avviato contro ignoti nel 1998 per violenza sessuale, sia in occasione del procedimento per il furto avvenuto nel 2003.

Dalla documentazione in atti risulta, infatti, che il Ris di Parma abbia svolto le attività di indagine sui campioni biologici riferibili all´interessato (che peraltro, come da dichiarazione in atti della resistente, non sono più detenuti dal reparto stesso) su espressa delega del pubblico ministero ai sensi dell´art. 370 c.p.p. Il Ris di Parma è intervenuto quindi nella fase delle indagini preliminari in funzione servente rispetto a due procedimenti già avviati dall´autorità giudiziaria e sotto la direzione del pubblico ministero ai sensi dell´art. 327 c.p.p. (cfr. art. 109 Cost. e, relativamente alla responsabilità disciplinare, art. 16 disp. att. c.p.p.), con conseguente applicazione agli atti procedimentali svolti degli obblighi e delle garanzie specificamente previste dal codice di procedura penale anche a tutela dell´indagato. In tale caso, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale, le attività svolte da parte del p.m. direttamente o avvalendosi della polizia giudiziaria "costituiscono esclusivamente forme diverse della medesima attività, facente sostanzialmente capo comunque al pubblico ministero nell´esercizio dei poteri che a esso spettano quale organo che dirige le indagini preliminari all´esercizio dell´azione penale (artt. 326 e 327 cod. proc. pen.)" (Corte Cost. n. 101 del 1999).

Rispetto a tali tipi di trattamenti non trovano quindi applicazione, anche ai sensi dell´art. 47 del Codice, tra le altre, le disposizioni di cui agli artt. 145-151 del medesimo.

La rilevata causa di inammissibilità assume valore assorbente rispetto all´esame dell´altra causa di inammissibilità dedotta nel procedimento con riferimento al rapporto tra il procedimento dinanzi al Garante e quelli di carattere penale.

La presente declaratoria di inammissibilità preclude al Garante di prendere in considerazione in questa sede profili specifici relativi al complessivo trattamento dei dati personali effettuato nel caso di specie dalla resistente, il cui esame resta impregiudicato in conformità alle altre pertinenti disposizioni del Codice applicabili.

Sussistono infine giusti motivi per compensare integralmente le spese fra le parti in ragione della novità e complessità della vicenda in questione.

PER QUESTI MOTIVI IL GARANTE

a) dichiara inammissibile il ricorso;
b) dichiara compensate le spese tra le parti.

Roma, 30 novembre 2006

IL PRESIDENTE
Pizzetti

IL RELATORE
Pizzetti

IL SEGRETARIO GENERALE
Buttarelli