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Diritto all’oblio: l’intervento del Presidente Antonello Soro alla Commissione Giustizia della Camera - 3 dicembre 2014

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Disposizioni in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante

Audizione del Presidente Antonello Soro alla Camera dei Deputati
3 dicembre 2014

1. L´art. 3

L´audizione verte ovviamente sulle sole disposizioni non coperte dal vincolo della doppia deliberazione conforme, rilevanti ai fini della disciplina di protezione dei dati personali. Sotto questo profilo, tra le norme introdotte al Senato merita un´attenzione particolare l´art. 3, recante "Misure a tutela del soggetto o del soggetto leso nell´onore o nella reputazione", che sin dalla sua approvazione in Commissione giustizia al Senato (peraltro all´unanimità), è stato descritto come volto a disciplinare il c.d. diritto all´oblio. Questo è vero solo in parte, come spiegheremo e come, peraltro, hanno riconosciuto lo stesso dossier del Servizio studi della Camera e il Relatore Verini, nell´illustrazione delle modifiche apportate in seconda lettura.

La norma sancisce, in capo all´interessato, il diritto (ulteriore rispetto a quello di ottenere la rettifica o l´aggiornamento), di richiedere la rimozione, dai siti internet (archivi on-line dei giornali, ma non solo) e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori o, comunque, dei dati personali trattati in violazione di legge. All´interno di questa categoria sono anche comprese le immagini, oggetto di uno specifico richiamo al comma 2 dell´articolo, che sarebbe opportuno correggere per ragioni di simmetria e perché, appunto, la nozione di dati personali include anch´esse.

Inoltre, ai sensi del comma 1 tale richiesta può essere presentata solo dall´interessato, mentre secondo il comma 2, nel caso di morte di costui, analoga istanza può essere rivolta al giudice dagli eredi o dal convivente. Per ragioni di simmetria oltre che di opportunità, sarebbe allora auspicabile un´integrazione del comma 1, volta a riconoscere anche agli eredi o al convivente dell´interessato, la legittimazione attiva ad adire il titolare del trattamento. Si potrebbe anche valutare l´opportunità di estendere la categoria dei soggetti legittimati a chi abbia "un interesse proprio o agisca a tutela dell´interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione", come dispone l´art. 9, c.3, del Codice, con previsione sufficientemente duttile e comprensiva dei soggetti legittimati tanto jure proprio, quanto jure hereditatis.

Pur nel silenzio della norma, deve ritenersi che la richiesta dell´interessato vada rivolta al titolare del trattamento (gestore del sito o del motore di ricerca), dal momento che, ai sensi del comma 2, in caso di rifiuto o di inadempimento di costui, l´interessato può adire il giudice al fine di ottenere la rimozione dei dati o di inibirne l´ulteriore diffusione (ipotesi, questa, che sarebbe forse opportuno ricomprendere tra i possibili oggetti della richiesta da rivolgere, ai sensi del comma 1, al titolare del trattamento).

Nel disciplinare tale istanza da rivolgere al giudice (senza tuttavia fissare il termine entro il quale ritenere perfezionato l´inadempimento del titolare), il comma 2 richiama espressamente la procedura di cui all´art. 14 del codice del commercio elettronico (d.lgs. 70/2003). Secondo tale norma, già oggi, il giudice o l´autorità amministrativa avente funzioni di vigilanza possono esigere, anche in via d´urgenza, che il fornitore, nell´esercizio di attività di "mere conduit", "impedisca o ponga fine alle violazioni commesse", inibendo dunque un trattamento realizzato in violazione di legge. Rispetto a questa norma, tuttavia, il comma 2 in esame non richiama anche l´autorità di vigilanza quale ulteriore possibile destinatario della richiesta dell´interessato, il che rischia indubbiamente di creare qualche difficoltà interpretativa.

Volendo, infatti, attribuire una qualche valenza innovativa alla norma, dovrebbe ritenersi che essa, relativamente ai soli contenuti diffamatori, ammetta la possibilità di adire soltanto il giudice e non anche l´autorità di vigilanza. Tale previsione risulterebbe allora asistematica rispetto a una disciplina, quale quella dell´art. 14, cui si rinvia espressamente e che, conformemente alla disciplina europea, ha previsto un "doppio binario" per la tutela dell´interessato (sia giurisdizionale sia amministrativa), valorizzando il ruolo delle autorità, estranee tanto al circuito fiduciario-rappresentativo (e dunque alla logica di maggioranza che lo ispira) quanto all´ordine giudiziario. Il tutto, poi, senza considerare come il richiamo all´art. 14 d.lgs. 70/2003 e all´attività di mere conduit del fornitore ingenera il dubbio che la procedura a tutela dell´interessato di cui all´art. 3 in esame vada limitata ai soli access provider e non sia, dunque, attivabile, ad esempio, nei confronti dei gestori di testate telematiche: il che è evidentemente contrario agli scopi della norma, che relativamente alla diffamazione contempla senza dubbio simili ipotesi. Anche questo profilo andrebbe dunque corretto, con un più preciso coordinamento normativo che chiarisca come questa procedura abbia una portata diversa da quella di cui all´art. 14.

E, come si dirà meglio in seguito, tale scelta risulta ancor più asistematica rispetto all´analoga procedura sancita dall´art. 7 del codice in materia di protezione dei dati personali, alternativa all´art. 14 d.lgs. 70 (che infatti non si applica alle istanze inerenti il diritto alla riservatezza). Tale noma consente, infatti, di adire tanto il giudice ordinario quanto il Garante (in tal caso previo interpello rivolto al titolare del trattamento), per ottenere la rettifica, la cancellazione dei dati trattati in violazione di legge, l´inibizione della loro ulteriore diffusione, la deindicizzazione.

Da un lato, dunque, il comma 2 in esame riprende, dell´art. 7, la previsione dell´interpello preventivo del titolare, che persegue ovviamente finalità conciliative e deflattive del contenzioso. Dall´altro, tuttavia, a fronte dell´inadempimento del titolare, la norma priva l´interessato della possibilità di adire, anziché il giudice, il Garante, che pure oggi rappresenta l´istituzione cui, nella maggioranza dei casi, sono rivolte le richieste di deindicizzazione, integrazione, aggiornamento, cancellazione di dati trattati in violazione di legge.

Proprio con riferimento a tale ultima ipotesi, viste le sovrapposizioni tra la procedura giudiziale di cui al comma 2 in esame e quella disciplinata dal Codice, in assenza di clausole di salvaguardia in favore del d.lgs. 196/2003, vi è il rischio di ingenerare il dubbio che le richieste di deindicizzazione o cancellazione di dati trattati in violazione di legge possano oggi essere rivolte esclusivamente al giudice, con le forme di cui all´art. 3, comma 2. Anche qualora non si intendesse procedere a una più ampia revisione della norma in modo da disciplinare il diritto all´oblio nella sua interezza – come si dirà infra- sarebbe comunque opportuno inserire una clausola di riserva in favore degli specifici istituti previsti dal Codice, anche per ragioni di compatibilità con la normativa europea.

Inoltre, il riferimento (al comma 1), al carattere "diffamatorio" del contenuto di cui si chieda la rimozione, ingenera il dubbio che presupposto per l´istanza sia l´accertamento definitivo – e dunque con sentenza passata in giudicato – della sussistenza, appunto, della diffamazione.

2. Il diritto all´oblio

La norma, tanto sotto il profilo procedurale quanto sotto quello sostanziale, ben potrebbe, dunque, essere migliorata; e non solo per fugare i dubbi interpretativi che la sua formulazione attuale suscita e che abbiamo sopra descritto. Così com´è, essa rappresenterebbe infatti un´occasione mancata per disciplinare compiutamente un aspetto del diritto alla protezione dei dati personali (ovvero il diritto all´oblio) che sta assumendo un´importanza sempre maggiore nel rapporto tra dignità e libertà di espressione, in un contesto di progressiva mediatizzazione delle relazioni, pubbliche e private. Questa, infatti, potrebbe essere la sede opportuna per normare espressamente i vari strumenti con i quali questo diritto può esercitarsi, migliorandone anche la procedura per garantire una tutela più celere, effettiva e adeguata, non solo non aggravando ma addirittura deflazionando il contenzioso giudiziario.

In primo luogo, per quanto concerne l´ambito di applicazione della norma, essa si riferisce unicamente ai contenuti diffamatori o ai dati trattati in violazione di legge, non considerando, quindi, il termine di riferimento proprio del diritto all´oblio, ovvero dati personali che non siano inesatti (e dunque da rimuovere o integrare) ma semplicemente connotati da un interesse pubblico non così attuale da giustificarne l´indiscriminata reperibilità in rete, in virtù della digitazione di una sola parola nei motori di ricerca generalisti.

Nel suo più noto precedente giurisprudenziale, infatti, il diritto all´oblio nasce come richiesta di deindicizzazione di dati (relativi a un pignoramento subito dal ricorrente e, quindi, alla sua insolvenza) certamente veritieri, ma inerenti una vicenda risalente a 15 anni prima (Corte di giustizia, sentenza Costeja/Google Spain, maggio 2014). L´interesse caratterizzante tale notizia era quindi sfumato in misura tale da giustificarne non la rimozione dagli archivi dei giornali, ma la sottrazione ai motori di ricerca generalisti, così contenendo il danno all´immagine del ricorrente, derivante dalla perenne associazione (quasi uno stigma) tra il suo nome e quella vicenda.

Questo perché, come precisa la Corte, il servizio offerto dai motori di ricerca sottende non solo un vero e proprio trattamento di dati personali ma, soprattutto, un´ingerenza nella vita privata assai più rilevante di quella che deriva dalla pubblicazione della singola pagina web, poiché offrono una visione complessiva, strutturata delle informazioni relative a una persona; un profilo dettagliato, impossibile da ottenere diversamente e con il rischio della de- contestualizzazione delle informazioni indicizzate. Pertanto- ribadisce la Corte – se esigenze informative e un interesse pubblico, pur affievolito nella sua attualità, legittimano la permanenza della notizia nel sito-sorgente, rendendo così possibile la piena ricostruzione storica della vicenda, proprio il decorso del tempo può, invece, imporne la sottrazione all´azione dei motori di ricerca generalisti.

In tal senso depone anche il regolamento europeo sulla protezione dati (nel testo emendato su proposta del Parlamento) attualmente in discussione, secondo cui il "right to erasure" può esercitarsi anche nelle forme della cancellazione dei soli link alla notizia pur esatta, ma il cui periodo di conservazione ecceda le finalità sottese alla raccolta, cogliendo quella dimensione "diacronica" della riservatezza che è necessario considerare, quale contrappeso alla memoria eterna della rete e al rischio di de-contestualizzazione connesso alla infinita duplicabilità, associabilità con altre informazioni e trasponibilità del dato da un sito all´altro, attraverso, appunto, i motori di ricerca.

A tale soluzione erano, del resto, giunti sia la giurisprudenza interna (cfr., in particolare, la Cassazione sul caso di un ex brigatista perfettamente riabilitato) sia il Garante, che sin dal 2008 ha  adottato questa via, soprattutto in relazione agli articoli contenuti negli archivi on-line dei giornali.

La nozione (atecnica, ma certamente evocativa) di diritto all´oblio copre dunque un´ampia categoria di ipotesi tra loro eterogenee: dai dati veritieri e legittimamente raccolti in origine, ma il cui interesse pubblico sia ormai scemato in ragione del tempo trascorso, ai dati trattati in violazione di legge o non più esatti perché non aggiornati agli sviluppi successivi. Per questo, con una piena corrispondenza tra profilo sostanziale e procedurale, il diritto all´oblio deve potersi avvalere di una altrettanto ampia gamma di strumenti, ciascuno rispondente a specifiche esigenze di tutela e diversamente modulabili in ragione delle caratteristiche della fattispecie concreta e del bilanciamento da realizzarsi, di volta in volta, con gli interessi in gioco: il diritto di (e all´) informazione in primo luogo).

Così, alla cancellazione dei dati trattati illegittimamente, deve affiancarsi l´integrazione delle notizie ormai inesatte perché superate dagli eventi successivi, la loro rettificazione e la deindicizzazione di quelle appunto veritiere ma ormai risalenti; per le quali si giustifichi non già la rimozione dal sito sorgente ma la sottrazione alla pervasività dei motori di ricerca (sul punto significativa anche la posizione affermata dalla Corte EDU a luglio, che nella fattispecie ha ritenuto sproporzionata la rimozione dagli archivi on line di alcuni articoli ritenuti diffamatori, in quanto misura eccessivamente limitativa della libertà d´espressione).

Per questo, disciplinare il diritto all´oblio con esclusivo riferimento ai dati illegittimamente trattati, senza affrontarlo nella sua interezza, sotto il profilo sostanziale e processuale, rischia di risultare poco utile se non, in alcuni casi, addirittura dannoso in ragione dei dubbi interpretativi che la formulazione della norma comporta e che abbiamo sopra descritto, con particolare riguardo alle sovrapposizioni tra la procedura di cui all´art. 3 e quelle già oggi previste.

3. Alcune indicazioni

Si potrebbe dunque cogliere l´occasione di questo provvedimento per disciplinare compiutamente il diritto all´oblio quale tutela dell´identità nella sua evoluzione e proiezione sociale, evitandone la cristallizzazione in forme che non le corrispondono più. Si dovrebbe allora codificare quella pluralità di istituti (cancellazione, rettifica/integrazione nonché, appunto, deindicizzazione) volti a impedire che la trasposizione in rete delle fonti informative degeneri in una gogna mediatica lesiva per gli interessati e poco utile (se non addirittura dannosa) per il diritto all´informazione dei cittadini.

Tra le possibili soluzioni (appunto: rimozione, integrazione della notizia e deindicizzazione), quest´ultima è certamente la meno limitativa del diritto di informazione, in quanto preserva, nella sua integrità, la pubblicazione della notizia sul sito-sorgente, ma ne impedisce l´indiscriminata reperibilità in rete attraverso il solo nome dell´interessato ed è, dunque, quella che meglio può contribuire a realizzare un bilanciamento adeguato tra interessi entrambi costituzionalmente rilevanti. E non a caso, tale soluzione è quella prescelta dalle Camere per coniugare diritto all´oblio e pubblicità (ed intangibilità) degli atti parlamentari. Per altro verso, l´aggiornamento e l´integrazione delle notizie superate dagli eventi consente invece non solo di tutelare la dignità dell´interessato ma anche di migliorare la stessa qualità dell´informazione, che risulta in tal modo più esatta, completa e, appunto, aggiornata, senza imporre alcuna censura o forma di controllo preventivo dei contenuti in rete,  in linea anche con quanto sancito dalla Corte Europea dei Diritti Umani con le sentenze Axelspringer del 2012, Delfi contro Estonia del 2013 e Wegrzynowski e Smolczewski del luglio 2013, ma anche dalla Cassazione italiana con le sentenze 5525/2012 e 16111/2013).

Nel disciplinare il diritto all´oblio nei suoi vari aspetti, si dovrebbe comunque espressamente fare salvo (anche per ragioni di compatibilità europea) il doppio binario tutela giurisdizionale/amministrativa (dinanzi al Garante), sempre che non si intenda invece concentrare in capo alla sola Autorità tale funzione, in ragione della specifica competenza sinora acquisita. In tal senso si muovono anche alcuni progetti di legge.

Uno, in fase avanzata in 1^ Commissione Senato, sul cyberbullismo, che radica appunto in capo al Garante una procedura specifica, celere pur nel rispetto del contraddittorio, a tutela della dignità e del diritto all´oblio dei minori.

Altri progetti di legge (in questo Ramo ve n´è anche uno sulla diffamazione e l´hate speech) attribuiscono al Garante la competenza non solo a pronunciarsi sul diritto all´oblio, ma anche a prescrivere la pubblicazione della rettifica, con efficacia estintiva del procedimento penale (sempre che il giudice ne ravvisi la congruità).

Simili soluzioni mirano anzitutto a incentivare la rettifica, potendo essa intervenire, quale causa d´improcedibilità sopravvenuta, anche ad azione penale già avviata, come una peculiare forma di "ravvedimento operoso" che, reintegrando il bene giuridico leso, fa venir meno l´esigenza di una sanzione a contenuto esclusivamente repressivo o afflittivo.

Sistemi del genere consentono anche di valorizzare la specifica competenza acquisita dal Garante in materia di rettificazione e  rispetto del principio di esattezza, che ovviamente la rettifica intende ripristinare. Ma soprattutto, consentirebbero una deflazione importante del contenzioso giudiziario, puntando su quel coordinamento tra giudizio penale e procedimento amministrativo (quello eventualmente instauratosi e conclusosi dinanzi al Garante per la rettifica) già previsto nell´ordinamento (cfr., ad es., art. 10-bis d.lgs. 286/1998) e sicuramente capace di coniugare istanze deflattive e tutela dei diritti dei cittadini.