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Convegno "Il Metaverso tra utopie e distopie" - Intervento di Guido Scorza, Componente del Garante per la protezione dei dati personali

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Convegno "Il Metaverso tra utopie e distopie"
Intervento di Guido Scorza, Componente del Garante per la protezione dei dati personali

Nel 2006, quando il Consiglio d’Europa ha deciso di istituire la giornata internazionale della protezione dei dati personali era inimmaginabile che, un giorno, una di queste giornate sarebbe stata dedicata a riflettere sull’impatto del metaverso sulla protezione dei dati personali.

E questo benché la parola metaverso – che, per inciso, il correttore automatico di Word di Microsoft continua a sottolineare in rosso – già fosse stata coniata da diversi anni dallo scrittore cyberpunk, Neal Stephenson, nel suo Snow Crash.

Nessuno, però, all’epoca, avrebbe potuto pensare che “metaverso” un giorno sarebbe diventata una delle parole più cercate su Google e un fenomeno studiato nelle università e dalle autorità di tutto il mondo.

Quella che stiamo vivendo, d’altra parte, è una stagione della vita del mondo senza precedenti nella quale, ormai quasi sistematicamente, l’imprevedibile diventa realtà.

Per convincersene basta rileggere poche righe di Homo deus, breve storia del futuro, uno degli ultimi libri di Yuval Noah Harari: “Per la prima volta nella storia si muore più per colpa degli eccessi alimentari che per la mancanza di cibo; la morte ci coglie più spesso in tarda età, per vecchiaia, che in gioventù, per malattie infettive; si cessa di vivere più facilmente per mano propria, con il suicidio, che a causa dei rischi connessi alla presenza di soldati, terroristi e criminali messi insieme”.

In una manciata di anni, la previsione di Harari, per quanto attenta, rigorosa, e basata sui dati è stata letteralmente smentita dalla storia.

Il mondo si è ritrovato prima a combattere contro una pandemia e, quindi, a vivere una guerra maledettamente simili a quelle del passato.

Niente di cui stupirsi, quindi, a dispetto della sua imprevedibilità nel 2006, se oggi, in Italia, si è deciso di dedicare la giornata internazionale della protezione dei dati personali proprio al metaverso sebbene consapevoli della circostanza che oggi in relazione al fenomeno manchi una definizione comune e non vi sia neppure certezza del fatto che il metaverso sia nato per restare con noi a lungo.

L’attuale condizione di incertezza è descritta bene da una recente ricerca che racconta come quelli che pensano che il metaverso sia solo una moda passeggera siano esattamente la stessa percentuale di persone che ritiene che il metaverso sia un fenomeno destinato a modificare radicalmente quello che attualmente chiamiamo mondo reale.

Guai, tuttavia, a non ricordare che – che si tratti di una moda o di una cosa seria nata per restare – già oggi il metaverso è un fenomeno finanziariamente rilevante che muove miliardi di dollari in tutto il mondo.

Ma lasciatemi provare a introdurre questa sessione dei nostri lavori con due provocazioni che ruotano attorno alle poche certezze che mi pare di scorgere attorno a un fenomeno che a me pare ancora avvolto da una fitta coltre di nebbia e incertezze.

Cominciamo dalle origini.

Il mondo intero ha scoperto l’espressione metaverso e ha, di conseguenza, cominciato a parlarne solo il 28 ottobre 2021 quando Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook, in una lettera aperta, ha scritto: “Siamo all’inizio di un nuovo capitolo per Internet, ed è anche un nuovo capitolo per la nostra azienda…il metaverso sarà una piattaforma immersiva, un Internet incarnato che consente di stare dentro l’esperienza invece di guardarla dall’esterno”.

E, contemporaneamente, Zuckerberg ha annunciato l’intenzione di ribattezzare Facebook, la sua creatura, proprio Meta.

Il metaverso, dunque, è nato nel privato per il privato.

Questo, almeno, a non ipotizzare che il CEO di una delle corporation che ha contribuito di più a cambiare il mondo un bel giorno non decida di cambiare il celeberrimo nome della sua azienda e di annunciare al mondo una rivoluzione per pura filantropia.

Che vinca o che perda – come suggerisce qualcuno – la sua scommessa Zuckerberg vedeva e, verosimilmente vede – a dispetto delle centinaia di milioni di dollari sin qui bruciati inseguendo la sua intuizione – nel metaverso una ghiotta opportunità di business.

Niente di male, naturalmente, in questa circostanza.

Tanto più che nei mesi successivi, in tanti, hanno scelto di condividere la scommessa e di investire nella progettazione, nello sviluppo e nella gestione di metaversi o, comunque, realtà tecnologiche immateriali chiamate metaverso.

Che il metaverso sia nato nel privato per il privato, a me pare, un dato che deve suggerirci qualche riflessione.

Ed ecco la mia provocazione.

Se internet che, si può dire, è nata nel pubblico per il pubblico – prima come progetto militare e poi come rete aperta per la condivisione della ricerca – in una manciata di anni è stata letteralmente privatizzata e completamente piegata alle ragioni del mercato, il metaverso o i metaversi appaiono destinati a nascere o, almeno, a diventare ben presto, enormi mercati digitali di esperienze di vita, le più diverse e eterogenee.

Ma se così è, allora, è verosimile che il metaverso o i metaversi altro non sarà che un enorme giardino privato o, magari, una sequenza di giardini privati i cui gestori detteranno, per contratto, le regole e, per questa via, decideranno cosa miliardi di persone possono fare o non fare, con buona pace delle leggi applicabili nei Paesi nei quali le persone in questione vivono.

Non è, in questa prospettiva, inverosimile, che assisteremo a una sempre più rapida e efficace erosione dei poteri pubblici da parte dei poteri privati.

Davanti a uno scenario di questo genere, inesorabilmente, dobbiamo porci una domanda: l’affermazione del metaverso è compatibile con uno sviluppo sostenibile delle nostre democrazie?

È una domanda, per quel che mi riguarda, per ora senza risposta ma che, credo, in occasioni di questo genere bisogna porsi.

Vorrei, poi, condividere con voi una seconda provocazione.

Per immergerci nel metaverso che, al di là delle tante incertezze, si prospetta multidimensionale e multusensoriale come un luogo-non luogo “aumentato” rispetto all’internet che conosciamo, servirà condividere più dati personali di quelli che oggi condividiamo per entrare nella dimensione digitale con un conseguente incremento almeno quantitativo dell’ordine di grandezza delle questioni da affrontare in termini di privacy.

E dico volutamente questioni e non problemi perché credo che, anche questo giro di boa dell’innovazione, vada affrontato con laicismo e serenità, respingendo ogni tentazione che ci suggerisca di bloccare la trasformazione del mondo e di restare nella nostra comfort zone di uomini che hanno già fatto abbastanza fatica a imparare a vivere nell’ecosistema digitale di oggi e non sono pronti a un altro balzo in avanti e, invece, concentrandoci sull’esigenza di governare, orientare, promuovere uno sviluppo sostenibile del metaverso o dei metaversi che verranno.

Ma non basta.

Per quel poco che si sa e si può intuire, il modello di business del metaverso sembra destinato a essere lo stesso dell’Internet che conosciamo: semplificando dati contro servizi.

Se così è, tuttavia, siamo alla vigilia di una sistematica, diffusa, penetrante – ben più di quella che stiamo già vivendo – mercificazione dei dati personali.

Pagheremo sempre di più in dati e i prezzi saranno sempre più cari.

Impossibile, in uno scenario di questo genere, non chiedersi quale possa essere o, anzi, debba essere la strada per governare questa deriva e scongiurare il rischio che una incontrollata mercificazione dei dati personali non produca una svendita della dignità umana al miglior offerente e, soprattutto, non rischi di fare del diritto alla privacy un diritto per soli ricchi.

Per carità, sul punto, è necessario essere laici e rifuggire qualsiasi tentazione integralista ma, al tempo stesso, non si può neppure accettare passivamente l’idea che i dati personali siano scambiati sui mercati globali come metalli o pietre preziose perché i dati ci rappresentano e altro non sono se non rappresentazioni di noi nella dimensione digitale o nel metaverso che verrà.

Serve identificare una strada percorrendo la quale il diritto dei contratti – e, al ricorrere di talune condizioni – quello dei consumatori possano rafforzare il diritto alla privacy, garantendo all’interessato maggiore controllo sui propri dati personali.

Si tratta, forse, di una tra le più impegnative sfide all’orizzonte.

Ma oggi, quello che penso io, conta meno del solito perché siamo tutti qui per sentire l’opinione di Luciano Floridi, neo direttore del neo costituito Centro per l’etica digitale dell’Università di Yale e Maura Gancitano, scrittrice e filosofa, inserita da Vanity Fair nella lista «Generazione futuro», tra gli artisti, attivisti e pionieri che stanno disegnando il futuro dell’Europa e da StartUpItalia nella lista delle 150 Unstoppable Women, le 150 donne da seguire nel mondo dell’innovazione in Italia.