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Io non posso entrare. Educhiamoci a educare i bambini a stare sul web - Intervento di Guido Scorza

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Io non posso entrare. Educhiamoci a educare i bambini a stare sul web
Il fenomeno è quello dei minori di otto, nove o dieci anni che fingono di averne più di tredici per entrare in social network, piattaforme di condivisione di contenuti audiovisivi o di gaming o, ancora, app di messaggistica che sono riservate agli ultratredicenni. È un fenomeno planetario che ha dimensioni enormi
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(HuffPost, 15 febbraio 2023)

"Perdonami Scorza, da genitore io ti mando a f*nculo se vuoi intrometterti nell'educazione di mio figlio e di cosa può o non può vedere in internet ;) sappilo che questa ingerenza ti rende solo antipatico :-)". È uno dei commenti ricevuti in calce a un video nel quale con l’amico Matteo Flora, l’altro giorno abbiamo affrontato la spinosa questione relativa all’esigenza di fare qualcosa per tenere i più piccoli lontano da piattaforme digitali che semplicemente non sono disegnate per loro e si auto-dichiarano riservate a un pubblico più adulto.

Tanto per intenderci il fenomeno è quello delle ragazzine e dei ragazzini di otto, nove o dieci anni che fingono di averne più di tredici per entrare in social network, piattaforme di condivisione di contenuti audiovisivi o di gaming o, ancora, app di messaggistica che sono riservate agli ultratredicenni.

È un fenomeno planetario che ha dimensioni enormi.

Basti pensare che un utente su tre, online, è un bambino e che, secondo una recente ricerca dell’Ofcom, l’autorità garante per le comunicazioni inglese, un bambino su tre mente sulla propria età per fare esperienze digitali che non gli sarebbero vietate.

E vale la pena aggiungere che, molto spesso, queste bugie si consumano sotto lo sguardo dei genitori che non sanno – e, per la verità, in molti casi neppure si preoccupano di sapere – che i figli, accanto a loro sul divano, usano smartphone e tablet per frequentare luoghi che non sono adatti alla loro età.

E, anzi, talvolta sono gli stessi genitori a favorire, inconsapevolmente, l’accesso dei figli sui social, non solo e non tanto mettendo loro in mani uno smartphone ma ponendoli anche nelle condizioni di usare i loro account e la loro mai per scaricare questa o quell’app.

Qualche tempo fa, dopo una tragedia a Palermo con una bambina di nove anni che aveva perso la vita nel corso di una sfida (una c.d. challenge) diffusa su TikTok, come Garante per la protezione dei dati personali, imponemmo a TikTok di fare di più per scongiurare il rischio che bambini infratredicenni entrassero su una piattaforma che loro stessi dichiaravano – e dichiarano – riservata a un pubblico di ultratredicenni e lanciammo una campagna promozionale televisiva – anche grazie agli spazi messici a disposizione da tutte le principali emittenti – per ricordare ai genitori che, TikTok, come tanti altri social, non era adatto a ragazzini infratredicenni.

Nei giorni successivi ricevetti centinaia di messaggi da altrettanti genitori che mi confessavano di essere stati loro a accompagnare, quasi per mano, i propri figli, infratredicenni, su TikTok, semplicemente perché non avevano capito che fosse riservato a chi era più grande.

Insomma, naturalmente, dobbiamo – specie come Autorità e decisori pubblici – fare sempre di più per ottenere che chi fa business, tra l’altro, sui dati e l’attività online dei più giovani, tenga i più piccoli, quelli che non hanno l’età, lontano dai guai, dai rischi e dai pericoli online innanzitutto non lasciandoli entrare non dovrebbero ma, al tempo stesso, serve che da adulti, tutti, nessuno escluso, ci si faccia un sano esame di coscienza e ci si chieda se, per caso, noi per primi, non si possa fare di più per garantire ai nostri figli il sacrosanto diritto di sfruttare le straordinarie opportunità che internet offre loro limitando i rischi, le derive, i guai, i problemi per loro e per gli altri.

E non c’è dubbio che, in questa prospettiva, l’esempio è lo strumento più efficace che abbiamo per educarli a un utilizzo consapevole e responsabile di app, piattaforme e servizi digitali.

Dobbiamo, dovremmo, dare loro l’esempio.

Ma, certo, leggere che, in un commento, un genitore-adulto che rivendica il sacrosanto diritto a educare il proprio figlio, mandi a “f*anculo” un altro genitore-adulto solo per una possibile diversità di vedute su una questione epocale che riguarda tutti i nostri figli e che verosimilmente non ha soluzioni salvifiche né panacee, suggerisce che prima di sperare di riuscire a educare i nostri figli, dobbiamo ancora lavorare tanto a educarci.