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Le mani di Facebook e TikTok sugli acquisti online in farmacia per alimentare il mercato pubblicitario - Intervista di Guido Scorza

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Le mani di Facebook e TikTok sugli acquisti online in farmacia per alimentare il mercato pubblicitario
Il paradosso è che si cerca più privacy, riservatezza e intimità e ci si ritrova con i propri piccoli e grandi segreti messi in piazza addirittura sui social
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(HuffPost, 17 aprile 2023)

Avete presente la linea gialla che oggi campeggia davanti ai banchi di tutte o quasi le farmacie italiane? È il risultato di un provvedimento adottato dal Garante per la protezione dei dati personali italiano oltre vent’anni fa per garantirci, almeno in farmacia, un briciolo di riservatezza e consentirci di acquistare le medicine di cui abbiamo bisogno al riparo da sguardi e orecchie indiscrete.

Quella linea, oggi, sembra preistoria a leggere l’inchiesta con la quale il Guardian e Radio Svezia raccontano di come alcune farmacie online, tra le quali Lloyds Pharmacy, una delle più famose di tutte, avrebbero – ma il condizionale è probabilmente un eccesso di prudenza perché i fatti sembrano tutti drammaticamente provati – inviato a Facebook e TikTok i dati sugli acquisti dei loro clienti con tanto di nomi e cognomi di questi ultimi.

La ragione? Consentire ai due social network di profilare gli utenti per proporre loro pubblicità sempre più targettizzata, ovvero, sempre più capace di intercettare, gusti, orientamenti e preferenze dei destinatari e, quindi, sempre più efficace.

Ovviamente sembrerebbe – qui invece il condizionale è necessario – essersi trattato di un errore, un sistema “tarato” male che ha trasmesso a Facebook e TikTok più dati di quelli che avrebbe dovuto.

Ma quale che sia la causa, il risultato è quello che conta: milioni di informazioni personali straordinariamente sensibili relative al consumo di farmaci e alle patologie di centinaia di migliaia, forse milioni di persone, sono arrivate dove non avrebbero dovuto e sono entrate nel circuito della pubblicità.

E vale la pena considerare che, sempre più spesso, si ricorre alle farmacie online per acquistare, nel modo più discreto possibile, farmaci che ci si imbarazzerebbe – a torto o a ragione – ad acquistare nella farmacia sotto casa: il viagra e il cialis, per esempio. Ma non solo. Anche i farmaci per una serie di malattie sessuali o, più semplicemente, per patologie che non si vogliono raccontare a un farmacista in carne ed ossa.

Insomma il paradosso è che si cerca più privacy, riservatezza e intimità e ci si ritrova con i propri piccoli e grandi segreti messi in piazza addirittura sui social.

Facebook, ormai Meta, e TikTok, naturalmente, si sono affrettati a precisare che la condivisione di questo genere di informazioni è contraria ai termini d’uso dei propri servizi pubblicitari e che i propri algoritmi sono progettati per provare a bloccare l’utilizzo di questo genere di dati per fare pubblicità. Ma, naturalmente, hanno dovuto riconoscere che si tratta, inesorabilmente, di filtri fallibili. E, quindi, la realtà nuda e cruda è che oggi – e chissà per quanto tempo – nel circuito della pubblicità online, centinaia di migliaia o, magari, milioni di persone sono etichettate come consumatori più o meno abituali di questo o quel farmaco e sono “condannate” a veder comparire sui loro schermi pubblicità correlata a queste informazioni e, magari, a dover giustificare a chi si ritrova vicinino ai loro schermi il perché di quel genere di pubblicità.

Che fare per scongiurare il rischio che incidenti di questo genere si ripetano e, anzi, si moltiplichino? Difficile rispondere.

È facile dire che bisogna investire di più nell’educazione alla privacy delle persone e delle imprese e riuscire a convincere tutti, nessuno escluso, che la protezione dei dati personali non è più – anche se, forse, in realtà, non lo è mai stato – un orpello ma una condizione essenziale per rendere sostenibile l’esistenza umana e che non può essere sacrificata sull’altare del mercato pubblicitario né immolata in cambio dell’opportunità, pure preziosa, di usare questo o quel servizio digitale senza pagare un canone di abbonamento. Ma, appunto, tra il dire e il fare c’è di mezzo il modello di business dell’intera Internet che conosciamo, un modello al quale non sembriamo affatto pronti e intenzionati a rinunciare.