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Il tribunale dei social è feroce e volubile. Come cambiare le regole dell'infosfera - Intervento di Guido Scorza

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Il tribunale dei social è feroce e volubile Come cambiare le regole dell'infosfera
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(MilanoFinanza, 17 gennaio 2024)

Sul finire dell’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle abbiamo assistito a quello che oggi appare - anche se non sarà così - il canto del cigno di Chiara Ferragni precipitata, alla velocità di una stella cadente, dal firmamento degli influencer alle polveri dei peggiori tra i comuni mortali per aver - almeno secondo l’autorità Antitrust - ingannato i consumatori raccontando che se avessero acquistato un panettone, parte del ricavato sarebbe andato in beneficenza mentre non era così.

Il feroce tribunale dei social, infatti, in pochi giorni l’ha condannata senza appello, a una pena enormemente più severa rispetto alla multa dell’Antitrust: l’infamia, l’altra faccia, della fama.

Quest’anno, inoltre, si è aperto con una notizia completamente diversa, dai toni, sfortunatamente, molto più drammatici ma con qualche momento di contatto, forse non trascurabile con la prima vicenda tuttora sotto indagine.

La storia è quella di Giovanna Pedretti, ristoratrice del lodigiano, morta, forse suicida, forse per non aver resistito a un’onda di onta social che l’ha travolta a poche ore di distanza da un’altra onda, egualmente alta, di popolarità sui social che, invece, lei stessa aveva cavalcato.

Ridotta all’essenziale la vicenda è questa: qualche giorno fa la ristoratrice pubblica sui social un commento di un suo cliente che lamenta il fatto di aver dovuto mangiare vicino a una coppia gay e a una persona con difficoltà motorie e, sotto, la sua risposta con la quale invitava il cliente in questione a non frequentare più il suo ristorante, considerata la sua disumanità.

Per i social, per i giornali e per la televisione e per il mondo della politica Giovanna diventa in una manciata di ore una campionessa nazionale di civiltà e umanità.

Ma dura poco.

A meno di un giorno di distanza Lorenzo Biagiarelli, food blogger, compagno della giornalista Selvaggia Lucarelli, pubblica un post che mette in dubbio quello della Pedretti: forse il commento del cliente insensibile e disumano è inventato perché una serie di elementi non tornano, forse, nonostante l’apparenza, è stata solo una mossa pubblicitaria. Il vento, che sui social cambia alla stessa velocità di quello che spira nei Caraibi, inverte la direzione e alza un’onda di insulti diretti a Giovanna.

Poi il suicidio.

Poche ore le accuse all’indirizzo della coppia Biagiarelli-Lucarelli per aver spinto al suicidio GioS vanna e le difese di questi ultimi: cercare la verità e fare informazione non vuol dire istigare al suicidio nessuno. Inopportuno, oggi, soffermarsi su questi aspetti della vicenda. Sappiamo troppo poco della morte di Giovanna, della fondatezza delle accuse che le sono state rivolte, dell’accanimento con il quale lo si è fatto e del rapporto ammesso che vi sia - tra eventi che il calendario propone in una certa correlazione.

E però c’è un fatto: in meno di 72 ore una donna è stata portata in trionfo sui social e condannata alla gogna mediatica, secondo qualcuno, addirittura, condannata a morte per l’insostenibilità, almeno nella dimensione soggettiva, della gogna.

Proprio come nella vicenda della Ferragni - vicenda completamente diversa, vale la pena ricordarlo - la distanza tra le stelle e le stalle, nella dimensione digitale appare prossima allo zero o, meglio, al cosiddetto tempo reale, quello in cui, online, accade tutto.

È una constatazione che, forse, merita qualche riflessione in più. La prima è semplice: la reputazione personale, nella dimensione digitale, è effimera e fragile. Basta poco per conquistare la fama, ma ci vuole ancora di meno per essere condannati all’infamia. La seconda è legata alla prima: il tribunale dei social è feroce e volubile, cambia idea in pochi istanti e sostiene tesi e antitesi con la stessa determinazione, la stessa forza d’urto, lo stesso impeto. La terza è più importante delle prime due: la reputazione, per le persone - anche se con intensità diversa - è come l’aria che respiriamo. Se è ricca di ossigeno ci da forza e energia, se è inquinata o contaminata ci logora e può portarci alla morte.

Guai a dimenticarsene, guai a prenderla alla leggera, guai a confondere l’immaterialità di certe parole con quella delle loro conseguenze perché ci sono parole che fanno più male delle botte. E poi ce n’è una quarta: i processi si fanno in Tribunale, non in televisione, non sui giornali e non sui social e, soprattutto, la gogna mediatica non è una sanzione umanamente e democraticamente sostenibile neppure per chi è condannato da un giudice, figurarsi se può esserlo da chi lo è da un pugno di click.

Gli errori giudiziari esistono, ma gli errori nelle sentenze mediatiche adottate da chi fa informazione e da improvvisate giurie popolari via social sono molto più frequenti e pericolosi.

Lo raccontano bene un paio di vicende andate in scena, in rapidissima sequenza, nelle ultime ore e drammaticamente eguali a migliaia di altre che si consumano ormai quotidianamente. La prima, non per accanirsi nei confronti dei Ferragnez, fino a qualche giorno fa – e, in fondo, ancora oggi - una delle coppie più social del Paese, riguarda Fedez che ha esibito, nel suo video podcast, il volto di un presunto odiatore seriale – un hater come, ormai, si dice - apostrofandolo con irripetibili epiteti, salvo poi scoprire che la persona in questione non era chi aveva supposto fosse. Nessuno si è fatto male ma questo non toglie nulla alla gravità di quanto accaduto e nelle modalità le cui conseguenze sono difficilmente controllabili una volta innescate le reazioni popolari, per così dire. La seconda riguarda social e giornali blasonati che hanno fatto rimbalzare dappertutto il volto di una ragazza che avrebbe spinto un gatto in una fontana, salvo, anche in questo caso, dover poi prendere atto della circostanza che la ragazza in questione aveva l’unica colpa di essere omonima della responsabile del gesto animale contro l’animale.

E quest’ultima vicenda ci porta all’ultima considerazione: i mezzi di informazione professionale, i giornali stampati e on line tradizionali, le radio e le televisioni, mentre sono nel pieno di una crisi di identità e si interrogano sul loro futuro, tra l’infosfera che li divora e l’intelligenza artificiale che avanza, forse, dovrebbero interrogarsi se non valga la pena di distinguersi anche smettendo di inseguire il tam tam dei social e tornare all’informazione di qualità.

Quella che non sbatte in prima pagina la foto del volto di una ragazza responsabile dell’annegamento di un gatto in una fontana senza uno straccio di verifica e non fa da cassa di risonanza di una storia, a tutto voler concedere, da giornalino di quartiere, su una recensione, vera o falsa che fosse, su una pizzeria nel lodigiano senza disporre di elementi sufficientemente fondati.