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Pasquale Stanzione, Garante della privacy: “Anche io ricevo le chiamate dai call center”- Il giurista che ricopre il ruolo dal 2020: “La tecnologia offre grandi opportunità ma se usata male può diventare anche una potente arma che limita le nostre libertà” - Intervista a Pasquale Stanzione

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Pasquale Stanzione, Garante della privacy: “Anche io ricevo le chiamate dai call center”
Il giurista che ricopre il ruolo dal 2020: “La tecnologia offre grandi opportunità ma se usata male può diventare anche una potente arma che limita le nostre libertà”

Intervista a Pasquale Stanzione, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Giuliano Aluffi, La Repubblica, 16 febbraio 2024)

“Guardi che se mi chiama ancora la segnalo al Garante”. Se c’è oggi una figura delle istituzioni che, nell’immaginario popolare, è visto come un baluardo e un riparatore di torti, soprattutto contro la torma invisibile dei disturbatori telefonici, questa è l’Authority per la protezione dei dati personali, che si incarna nella persona del suo presidente, ovvero il Garante. Dal 2020 ricopre il ruolo il giurista Pasquale Stanzione, che ha saputo mostrarsi all’avanguardia rispetto ai colleghi europei sia nel fronteggiare le minacce più nuove alla privacy, come ChatGPT, sia nel caldeggiare progressi civili come l’oblio oncologico, diventato legge solo qualche mese fa. Il professor Stanzione, come si conviene al suo ruolo, è persona che apprezza il riserbo e la discrezione. E le telefonate dei call center non risparmiano nemmeno lui…

Presidente, se si nomina la privacy, a tutti vengono subito in mente le chiamate dei call center. Seppur fastidiose, possiamo considerarle un utile pungolo a riflettere sull’importanza della privacy, a cui altrimenti molti non avrebbero pensato, esponendosi a ben altri pericoli?

“Premetto che la privacy è una costellazione di diritti, che tocca tanti aspetti della vita e delle relazioni, e associarla a un solo aspetto è riduttivo. Però capisco che molti possano rappresentarla come il diritto a non subire il bombardamento continuo del telemarketing, strumento con cui tra l’altro spesso vengono attivati contratti fraudolentemente, il più delle volte ai danni di anziani. E allora la difesa dal telemarketing finisce per diventare una delle declinazioni più tangibili della privacy. Se questo è servito a far apprezzare un diritto di cui altrimenti non si percepirebbe l’importanza, allora ben venga: a patto però che si capisce che la difesa del telemarketing è solo un frammento dell’ampio mosaico di diritti di cui si occupa la privacy”.

Le capita di ricevere chiamate dai call center? E come reagisce?

“Mi è capitato, come penso a tutti di ricevere telefonate promozionali. Ma proprio per rispetto della privacy non ho fatto presente ai chiamanti né la mia identità né il mio ruolo. E questo perché la protezione della privacy non può dipendere dal ruolo, ma è un diritto fondamentale di tutti. Mi sono limitato a far presente che ero iscritto al registro delle opposizioni, e quindi non avrebbero dovuto chiamarmi perché avrei potuto intraprendere anche delle azioni di tutela. Ben consapevole, però, di avere dall'altra parte del telefono un operatore di call center spesso sottopagato e sfruttato, e non certo chi davvero lucra su queste pratiche illecite”.

Quindi ci conferma che è iscritto al Registro delle Opposizioni?

“Certo, ma nonostante questo, per la verità, le telefonate continuano ad arrivare”.

Ecco, questa è una percezione diffusa…

“Il problema è che noi abbiamo competenza sul territorio nazionale. Ma se le chiamate arrivano dall'estero, come dall’Irlanda o dall'Albania, sfuggono alla competenza territoriale. E allora in questo caso non c'è Garante che tenga. E pure io e tutti quanti noi ne siamo ne siamo vittime”.

Da giurista lei ha prodotto molto sui diritti della persona e sulla loro tutela. Ma dal punto di vista più personale, c’è stato un episodio della sua gioventù dal quale si sarebbe potuto anticipare che lei un giorno sarebbe diventato il Garante della privacy?

“Una confessione: se bastasse la discrezione, la riservatezza a ricoprire questo ruolo, allora io sono da sempre il candidato naturale. Un aneddoto: appena passati i trent’anni, ero diventato professore ordinario all’Università di Salerno. Un giorno sostavo davanti all’aula dove avrei tenuto la mia prima lezione agli studenti del primo anno. Il bidello mi vide fermo lì e mi apostrofò: “Ma che fai là davanti? Entra, che tra poco arriva il professore!”. Invitandomi concitatamente ad entrare nell’aula. Entrai e proprio per riservatezza non rivelai mai al bidello che quel professore da cui mi stava mettendo in guardia quel giorno ero proprio io”.

Perdoni allora la mia indiscrezione. Sulla sua riservatezza giovanile: lei era una di quelle persone, ce n’è una in ogni compagnia, a cui gli amici raccontano i loro segreti sapendo che non sarebbero stati messi in piazza?

“Sì, ero il tipo di ragazzo – allora mi dicevano – serio e maturo, a cui gli amici, e anche le amiche, si rivolgevano per esporre i loro problemi e cercare un conforto. La cosa che mi fa sorridere è che io ho svolto vari ruoli, di direttore di dipartimento, di preside per otto anni, e la difficoltà che ho trovato non era tanto quella di amministrare dal punto di vista burocratico la facoltà. No. Era ricevere ogni giorno colleghi che venivano a prospettare i loro problemi di mogli, fidanzate, figli… problemi familiari. E quindi il preside in quella ipotesi, il direttore di dipartimento diventava il confessore laico. Cosa che avevo fatto da ragazzo e ho continuato a fare. Anche perché poi diventavo una specie di cassaforte murata: non propalavo, non manifestavo ad altri queste “confessioni” che avevo ricevuto lì, in camera caritatis”.

C'è stato un episodio o un fatto un evento che le ha fatto capire più magari di altri quanto fosse importante la privacy?

“Ho apprezzato il valore della privacy come libertà fondamentale già molto prima del GDPR e del Codice della Privacy: in un periodo oscuro per l’Italia, quello degli anni di piombo. In particolare nei terribili giorni del sequestro di Aldo Moro, quando si discuteva delle misure restrittive da adottare a fini investigativi, e delle possibili limitazioni alla libertà di comunicazione da introdurre. Erano anni difficili, di tensioni continue e drammatiche, ed era ricorrente, soprattutto per il ceto politico, agitare lo spauracchio della sicurezza pubblica per limitare fortemente la libertà dei cittadini. Però allora si evitarono, per fortuna, forme di sorveglianza massiva o sproporzionata: il sistema delle garanzie costituzionali, di manifestazione del pensiero, ha complessivamente tenuto. Più recentemente ci sono stati altri momenti delicati, come l’11 settembre, che ha riproposto, non solo negli Usa, un falso aut-aut tra privacy e difesa dello Stato. L’Europa è però riuscita, pure in questi anni di tensioni, a non rinnegare la sua identità democratica e liberale. A rimanere una “comunità di diritto”. E anche nella pandemia il diritto è riuscito a governare l’eccezione. Anche grazie alla protezione dei dati”.

Quindi il diritto ha tenuto.

“Sì, perché l’Europa ha una via alla privacy mediana tra il liberismo sfrenato degli Stati Uniti e il dirigismo che si vede in Paesi dove l’individuo non conta nulla. Ora con il regolamento sull’intelligenza artificiale continuiamo a percorrere questa strada virtuosa, per salvaguardarci dai rischi. Le nuove tecnologie ci offrono tante cose ottime, dalla medicina alla ricerca, ma pongono anche dei rischi. Già tre anni fa, nella prima relazione che feci per la giornata europea della privacy, parlavo di “neurodiritti” citando Elon Musk e Neuralink, e oggi leggiamo che effettivamente Musk ha impiantato in un cervello umano un chip per dialogare con i computer. Se questo serve a curare le malattie neurodegenerative, va benissimo. Ma in mano a un dittatore potrebbe essere una tecnologia per eterodirigere la volontà, e l’autodeterminazione è una delle cose più importanti”.

Lei apprezza la fantascienza? Lo chiedo perché oggi molte suggestioni sui rischi futuri per la privacy sono efficacemente immaginate in serie tv come “Black Mirror”, o anche in film come “Minority Report” a cui forse si sono ispirati a Trento per il controverso progetto di videosorveglianza “predittiva” e indiscriminata…

“Basta andare a “1984” di Orwell o a scrittori come Neal Stephenson che in “Snow Crash” aveva anticipato, già nel 1992, il Metaverso, altro scenario preoccupante per la possibilità di commettere illeciti anche con gli avatar che ci rappresentano virtualmente. Riguardo al provvedimento che abbiamo adottato a Trento: capisco usare le videocamere per la sicurezza, però se si registrano anche tutte le conversazioni che avvengono per strada, questo diventa uno scenario distopico da Grande Fratello. Bisogna salvaguardare il diritto della persona alla riservatezza, che i giuristi Warren e Brandeis già a fine Ottocento avevano definito ‘Il diritto di essere lasciati soli nella propria intimità’.

Il compito di eticisti e giuristi è tracciare il confine, il “katechon”, per mettere argine alle forme più esasperate di progresso, senza per questo essere luddisti. Riguardo al “diritto predittivo”: non possiamo arrivare a uno scenario dove le sentenze sono stabilite dalla macchina: deve sempre intervenire l’elemento umano, il giudice, per valutare. Perché il giudice sa comprendere e valutare le peculiarità umane delle persone, mentre la macchina è pericolosamente neutra. Ecco perché predichiamo contro la preminenza assoluta degli algoritmi. È importante capire come vengono alimentati. Se li si alimenta bene, sono uno strumento utile. Ma se invece si fa come è successo per ChatGPT o Bard, allora dobbiamo prendere provvedimenti inibitori per evitare la propalazione di fake news e per tutelare i minori”.

Sam Altman di recente su X ha scritto che, in sostanza, ChatGPT non potrebbe funzionare se non attingendo, come ha fatto finora, anche ai dati protetti da diritto d’autore. Chiedendo una specie di esenzione dalla legge.

“Io ho avuto una videoconferenza con Altman e mi è sembrato una persona molto intelligente, mi stupisce che ricorra a questa argomentazione. L’argomento del fine che, machiavellicamente, giustifica i mezzi è sempre servito per giustificare le peggiori torsioni antidemocratiche. Ed è al di fuori di una visione etico-giuridica conforme alla nostra tradizione secolare e alla nostra Costituzione”.

Sono tanti gli italiani che si rivolgono al Garante mandando segnalazioni, magari perché esasperati da qualche violazione della privacy?

“Lo scorso anno il Garante ha fornito riscontro a 9200 tra reclami e segnalazioni riguardanti il marketing, il telemarketing, le reti telematiche, i dati online delle pubbliche amministrazioni, la sicurezza informatica, il settore bancario, e quello della sanità, con i dati sanitari che non devono circolare se non presso le persone che autorizziamo a consultare il nostro fascicolo sanitario digitale. A questo proposito, il Parlamento qualche mese fa ha approvato la legge sull’oblio oncologico, che abbiamo fortemente sollecitato e appoggiato: chi è guarito da un tumore non deve essere penalizzato sul lavoro o dalle assicurazioni. Ecco un altro esempio di come la privacy sia una costellazione di diritti”.

Cosa è cambiato di più nel costume degli italiani riguardo alla privacy? Se vent’anni fa ci avessero detto “Un giorno avrete tutti, in casa, un microfono acceso 24 su 24” avremmo pensato a scenari da Germania dell’Est. Invece oggi con Alexa…

“Molti lo ignorano, ma anche certi televisori, lavastoviglie, aspirapolveri hanno una memoria incorporata e raccolgono ogni tipo di dati per profilarci. È l’Internet delle Cose. È la “datificazione” della vita: una rivoluzione antropologica di cui dobbiamo essere consapevoli. E con il Covid questo processo ha subito un’accelerazione, un occhio elettronico, la webcam, si è aperto in ogni casa consentendoci di svolgere in remoto qualunque attività, ma con un prezzo: l’invasione nel nostro privato di dimensioni non private come il lavoro, la formazione, addirittura i processi. La tecnologia è preziosa ma va governata con lungimiranza, con lo sguardo a quel pendio scivoloso che è il rischio dell’accettazione sociale di una progressiva perdita di libertà”.

Ecco, secondo lei i nativi digitali, abituati a condividere sui social media ogni respiro, hanno un’idea diversa di privacy?

“Io sono un “boomer”, e quindi immagini quanto ho potuto notare questa rivoluzione nel costume! I ragazzi di oggi si sono formati nell’epoca in cui quella che Michele Serra definisce efficacemente “la dittatura della presenza online” e la visibilità sembrano l’unico imperativo categorico. Negli incontri con gli adolescenti nelle scuole noi cerchiamo di far capire loro che la privacy sarà il vero campo di battaglia su cui dovranno difendere attivamente la loro libertà. Dobbiamo ricordare ai giovani che il progresso va benissimo, ma non si possono passare anche 7-10 ore al giorno in quella che ho definito “solitudine digitale”: quella è la rappresentazione della vita, ma la realtà è quella che si vive offline”.

Vede segni di speranza?

“Una risposta scherzosa: la mia nipotina, nata da pochi giorni, per tutto il tempo della gravidanza non si è lasciata guardare in viso dalle videocamere dell’ecografia. Quasi come se fosse conscia dell’importanza della privacy financo nel grembo materno”.

Un’ultima domanda sull’attualità: in questi giorni si è parlato di caccia agli evasori fiscali anche attraverso i social. Perché è un problema di privacy, se i social sono spazi pubblici?

“Posso fare una distinzione generale senza entrare troppo in dettaglio perché stiamo ancora ragionando sulla questione. Se il fisco prende informazioni e riferimenti da siti pubblici, come quelli della pubblica amministrazione, in cui i dati sono gestiti con trasparenza, è una cosa. Ma se ci spostiamo su siti privati come Facebook bisogna stare attenti. È vero che se io pubblico immagini dove festeggio a Dubai, e dichiaro poco, il fisco si può insospettire. Ma oggi esistono anche le fake news, i deep fake, e certe cose potrebbero essere state fabbricate ad arte. Ci vuole più cautela nel fare deduzioni usando siti privati che non danno garanzia di veridicità”.

Scheda

Doc-Web
9985196
Data
16/02/24

Tipologie

Interviste e interventi