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Dossieraggio e democrazia ferita: ripartiamo dal diritto alla privacy - Intervento di Guido Scorza

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Dossieraggio e democrazia ferita: ripartiamo dal diritto alla privacy
Non è un optional, non è un feticcio, non è “una sorta di aspirazione metafisica”, soprattutto non è e non può essere un diritto invocato all’occorrenza dal potente di turno quando una violazione della privacy lede o rischia di ledere la sua immagine, la sua reputazione, le sue ambizioni, il modo nel quale vuole essere visto dalla società. È pietra angolare della nostra democrazia
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(HuffPost, 9 marzo 2024)

Tra inchieste della magistratura in corso, audizioni parlamentari, strumentalizzazioni politiche di ogni genere, se si ha la responsabilità istituzionale di garantire la privacy in Italia, scrivere, rilasciare interviste o partecipare attivamente al dibattito pubblico su quanto accaduto presso – o, forse, meglio, a partire da – la Direzione Nazionale Antimafia, è inopportuno perché si corre, inevitabilmente, il rischio di essere tirati per la giacchetta da una parte o dall’altra, di perdere quella indispensabile terzietà e indipendenza dalle cose della politica e, soprattutto, di alimentare lo svilimento e la svalutazione del diritto alla privacy, già trascinato e strattonato in un agone politico chiassoso, polarizzato e polarizzante, più interessato a effimeri successi elettorali che alla reale affermazione e difesa di diritti e libertà.

E, tuttavia, talune considerazioni di carattere più generale sul contesto nel quale l’episodio si è consumato sembrano necessarie e, forse, anzi, opportune perché, quella che stiamo vivendo – accertamento dei fatti specifici e delle responsabilità a parte – potrebbe essere la volta buona per prendere atto della circostanza che il diritto alla privacy, in democrazia, non è un optional, non è un feticcio, non è “una sorta di aspirazione metafisica”, come ha di recente suggerito, sconsolato, il Ministro della Giustizia e, soprattutto, non è e non può essere un diritto invocato all’occorrenza dal potente di turno quando una violazione della privacy lede o rischia di ledere la sua immagine, la sua reputazione, le sue ambizioni, il modo nel quale vuole essere visto dalla società.

Troppo comodo ma, soprattutto, drammaticamente inutile ricordarsi che la privacy è importante quando a essere violata è la propria.

Ecco se una tragedia della democrazia come quella che verosimilmente si è consumata attorno alla vicenda del c.d. dossieraggio, può consegnare al Paese una lezione preziosa, questa lezione, probabilmente, racconta di un diritto – quello alla privacy, alla protezione dei dati personali, all’identità della persona – che è – o, almeno, dovrebbe essere – pietra angolare della nostra democrazia mentre è troppo spesso vilipeso, offeso, ridotto al ruolo di anacronistico e moribondo feticcio da azzeccagarbugli o accademici superati dal tempo, fastidioso adempimento burocratico, freno allo sviluppo del Paese, ostacolo alla sicurezza nazionale, alla ricerca medica, all’innovazione e chi più ne ha più ne metta.

Per carità, nessuna illusione che ciò accadrà davvero.

Non è la prima volta che abbiamo l’opportunità di far tesoro di una lezione del genere e che poi, superata in un modo o nell’altro la bufera, tutto torna esattamente come prima, con una serie di diritti, esigenze, obiettivi sistematicamente considerati più importati, più urgenti, più preziosi della privacy e, quindi, destinati a prevaricarla, travolgerla, relegarla al ruolo di diritto fragile, rinunciabile, superato dai tempi o, comunque, non essenziale.

Persino inutile provare a enumerare le tante occasioni perse in questo senso tra prima, seconda e terza repubblica.

Ma di scandali legati a intercettazioni e trojan di Stato, organizzazioni segrete la cui forza era basata sul possesso di dati e informazioni confidenziali rubati, episodi di dossieraggio non troppo diversi da quello che abbiamo di fronte ne abbiamo già visti a decine. E, però, per non dichiararsi sconfitti in partenza vale la pena, forse, mettere in fila un paio di riflessioni dettate dal senso civico e dall’amore del futuro che dovremmo consegnare ai nostri figli più che dal diritto.

La prima è che – al netto di quanto nello specifico verrà accertato dalle Autorità competenti – quanto è accaduto è figlio di un sistema nel quale nel bilanciamento tra diritti, indispensabile alla vita democratica di un Paese, qualcosa è andato storto, e si sono riconosciuti taluni diritti come più importanti di altri, tra i quali, certamente, il diritto alla protezione dei dati personali.

Se si fissa un limite di velocità a duecento chilometri all’ora e non si progetta e costruisce una rete viaria adeguata, non ci si può poi sorprendere se, con una certa frequenza, poi si registrano incidenti gravi e gravissimi.

Insomma – comunque sia accaduto e di chiunque siano le responsabilità giuridiche –, data la progettazione e costruzione del sistema, quello che si è verificato è stato l’avveramento di un rischio sistemico e prevedibile e non un evento straordinario.

La seconda considerazione serve a evitare che la prima sia fraintesa.

In democrazia non esistono diritti tiranni.

Suggerire, dunque, che quanto accaduto sia figlio, in una certa misura – e ferme restando, naturalmente, le responsabilità dei singoli che verranno accertate nelle sedi opportune – di un sistema progettato e costruito in maniera imperfetta nel quale ci si è preoccupati di più della lotta al crimine che della difesa privacy, non significa suggerire che si dovesse – o che si debba - rinunciare a dotare la magistratura di idonei strumenti di contrasto al crimine.

Anche perché se così fosse, in tanti correrebbero a affermare convinti che allora si è trattato di un rischio giustificato, di una conseguenza inevitabile, di una scelta necessaria perché senza quella sperequazione tra diritti il Paese non avrebbe disposto e non potrebbe disporre di strumenti altrettanto efficaci di contrasto alla criminalità in tutte le sue declinazioni.

Ma il punto è un altro.

Il buon governo è quello che non pone mai le persone davanti alla più odiosa delle scelte: quella tra due diritti fondamentali. Volete più sicurezza o più privacy, più giustizia o più privacy, più delinquenza o meno privacy? E via dicendo. Il buon governo è quello capace di garantire ai cittadini una misura sostenibile di tutti i diritti, comprimendo ogni diritto – inclusi quelli fondamentali – nella misura minima necessaria a garantire l’esercizio e l’attuazione degli altri.

Ed è almeno lecito dubitare che questa regola, sin qui, sia stata seguita.

Ma non è troppo tardi per rivedere certe scelte e ispirare le nuove a un maggior e miglior equilibrio anche perché, come suggeriva, nel 1928 Louis Brandeis, Giudice alla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, nel primo processo contro un contrabbandiere di whisky, interamente basato sulle intercettazioni telefoniche: “i tempi cambiano e rendono disponibili al governo strumenti più sottili e di più ampia portata per invadere la privacy. Scoperte e invenzioni hanno reso possibile per il governo, con mezzi molto più efficaci rispetto alla forza, di entrare in possesso di informazioni che si sono sussurrate in un guardaroba…Il progresso della scienza nel dotare il governo di mezzi di spionaggio non si fermerà alle intercettazioni telefoniche. Si potrebbero sviluppare dei modi attraverso i quali il governo, senza rimuovere documenti da cassetti segreti, potrà produrli in tribunale e con i quali sarà consentito esporre a una giuria gli eventi più intimi che si consumano in una casa. I progressi nelle scienze psichiche e correlate possono portare mezzi per esplorare convinzioni, pensieri ed emozioni inespressi».

Ed è successo proprio così e siamo solo all’inizio.

Scheda

Doc-Web
9993138
Data
09/03/24

Tipologie

Interviste e interventi